No, non ti sto invitando a fare un giretto sulla macchina vintage.
Per far girare la testa - sul testo - meglio fare un giro di valzer.
Ché, se vuoi imparare a scrivere bene, tocca metterti... in ballo.
Um pa pa - Um pa pa - Um pa pa Um
Uhm.
Ti sei mai chiesto perché il valzer è tanto riconoscibile e memorizzabile?
Leggiamo di nuovo l'onomatopea:
um pa pa - um pa pa - um pa pa um
Uhm.
Lettere che si ripetono con la stessa cadenza.
E l'accento? Sempre sulla prima cade.
L'effetto è quello di un ritmo naturale che imita la vita; anzi, potremmo dire che la musica prende vita quando riesce a imitare il suo costante pulsare. Stessa cosa succede con le parole.
Come?
Siamo qui per scoprirlo insieme: tu batti il tempo, che io comincio... a "suonartele" :-)
La variazione? Uno stile... di vita
Diciamo subito che l'um-pa-pa è un'eccezione, perché il fascino del valzer non è certo tutto lì.
Mi viene in mente la frase: "Uhm-papà perché mi ripeti sempre le stesse cose?"
Già, la ripetizione di parole simili annoia chi ascolta e chi legge: lunghezza, suono, tono devono cambiare. I parenti latini avrebbero chiamato l'accorgimento variatio: lunga-breve-lunga-breve-atona-tonica-atona-tonica. Tutta questione di accenti e posizioni.
D'altronde la vita su cui (dis)corriamo non scorre mai tutta uguale; e, non a caso, si dice che "ognuno ha i suoi ritmi". La singole lettere hanno un suono e diventano parola; la parola frase; la frase periodo; il periodo testo. Come la musica è un insieme di note in equilibrio sul pentagramma, la scrittura è melodia in grafemi. Il pulsare della linfa vitale è dentro rigo e... righe.
Parole corte o parole lunghe?
No, non è come scegliere la pasta perché in quel caso mescolare significa caos papillo-gustativo.
Nella scrittura, mio caro, il mix funziona; e ce n'è per tutti i gusti auricol(-)oculari.
Torniamo alla musica in chiave onomatopeica, così ci capiamo:
Ta-ta-ta-ta-ta-ta-ta-ta-ta-ta-ta [breve-breve-breve-breve]
Tarata-tarata-tarata-tarata-tarata [lunga-lunga-lunga-lunga]
La prima riga scorre tanto; la seconda meno.
Ma vuoi sapere il mio parere? Noiose entrambe: l'ideale è alternare, lasciando che l'occhio sorvoli rapido le parole corte per soffermarsi di più su quelle lunghe.
La monotonia uccide il testo vivo e tenere in allerta la testa vuol dire sentire il ritmo del palpito: lento, veloce; sempre diverso secondo il concetto espresso.
D'altronde vita e parola si contaminano a vicenda dagli albori della storia.
Nel IX secolo c'era tempo per leggere e la prosa era lenta: periodi lunghi, verbi al passivo, sintassi complessa; l'avvento del XX secolo, al contrario, vede il trionfo del movimento futurista: periodi brevi, verbi all'infinito, sintassi piana e segno che diventa disegno per comunicare i rumori.
La scrittura evolve, muta e si adatta alla tecnologia per non restare... muta (?)
Le parole hanno un suono
E un peso.
Come un valzer che balla sul penta.GRAMMA (?)
E i periodi?
Anche loro sono come le parole [e differiscono dalla pasta].
Ci sono quelli lunghi che cullano l'occhio fino alla riga successiva; e quelli brevi che incalzano e non lasciano tregua. Troppo lunghi stancano, troppo brevi stressano.
Di nuovo la scrittura s'adatta al periodo storico e assistiamo inermi al tripudio del testo conciso: poco tempo, mezzo veloce, lettura su schermo. Sì, viviamo nell'ossimoro di un passato futurista; ma tu fai conto d'essere passato dal valzer settecentesco al futuro (fis)armonico del nostro secolo [che rende bene crisi e crasi]: apro e chiudo; apro e chiudo.
Il testo ideale alterna paragrafi lunghi a paragrafi brevi: la sua lunghezza varia in base al senso che gli vogliamo dare. Se sto descrivendo una scena concitata sarò breve; se mi sto perdendo in una riflessione pacata, farò in modo che l'occhio del lettore stia sulle mie parole il più a lungo possibile.
Posso anche scegliere di stupire, lanciandomi in ardue contaminazioni grafiche e creative: font tondi e spaziosi per concetti mmmorbidi; o duri e stretti per slogan taglienti.
Per far girare la testa - sul testo - meglio fare un giro di valzer.
Ché, se vuoi imparare a scrivere bene, tocca metterti... in ballo.
Uhm.
Ti sei mai chiesto perché il valzer è tanto riconoscibile e memorizzabile?
Leggiamo di nuovo l'onomatopea:
um pa pa - um pa pa - um pa pa um
Uhm.
Lettere che si ripetono con la stessa cadenza.
E l'accento? Sempre sulla prima cade.
L'effetto è quello di un ritmo naturale che imita la vita; anzi, potremmo dire che la musica prende vita quando riesce a imitare il suo costante pulsare. Stessa cosa succede con le parole.
Come?
Siamo qui per scoprirlo insieme: tu batti il tempo, che io comincio... a "suonartele" :-)
La variazione? Uno stile... di vita
Diciamo subito che l'um-pa-pa è un'eccezione, perché il fascino del valzer non è certo tutto lì.
Mi viene in mente la frase: "Uhm-papà perché mi ripeti sempre le stesse cose?"
Già, la ripetizione di parole simili annoia chi ascolta e chi legge: lunghezza, suono, tono devono cambiare. I parenti latini avrebbero chiamato l'accorgimento variatio: lunga-breve-lunga-breve-atona-tonica-atona-tonica. Tutta questione di accenti e posizioni.
D'altronde la vita su cui (dis)corriamo non scorre mai tutta uguale; e, non a caso, si dice che "ognuno ha i suoi ritmi". La singole lettere hanno un suono e diventano parola; la parola frase; la frase periodo; il periodo testo. Come la musica è un insieme di note in equilibrio sul pentagramma, la scrittura è melodia in grafemi. Il pulsare della linfa vitale è dentro rigo e... righe.
Parole corte o parole lunghe?
No, non è come scegliere la pasta perché in quel caso mescolare significa caos papillo-gustativo.
Nella scrittura, mio caro, il mix funziona; e ce n'è per tutti i gusti auricol(-)oculari.
Torniamo alla musica in chiave onomatopeica, così ci capiamo:
Ta-ta-ta-ta-ta-ta-ta-ta-ta-ta-ta [breve-breve-breve-breve]
Tarata-tarata-tarata-tarata-tarata [lunga-lunga-lunga-lunga]
La prima riga scorre tanto; la seconda meno.
Ma vuoi sapere il mio parere? Noiose entrambe: l'ideale è alternare, lasciando che l'occhio sorvoli rapido le parole corte per soffermarsi di più su quelle lunghe.
La monotonia uccide il testo vivo e tenere in allerta la testa vuol dire sentire il ritmo del palpito: lento, veloce; sempre diverso secondo il concetto espresso.
D'altronde vita e parola si contaminano a vicenda dagli albori della storia.
Nel IX secolo c'era tempo per leggere e la prosa era lenta: periodi lunghi, verbi al passivo, sintassi complessa; l'avvento del XX secolo, al contrario, vede il trionfo del movimento futurista: periodi brevi, verbi all'infinito, sintassi piana e segno che diventa disegno per comunicare i rumori.
La scrittura evolve, muta e si adatta alla tecnologia per non restare... muta (?)
Le parole hanno un suono
E un peso.
Come un valzer che balla sul penta.GRAMMA (?)
Il suono delle parole è il risultato dell'accostamento fra singole lettere, che insieme creano armonia o cacofonia: bene la prima, male la seconda. Non tornerò qui su aspetti trattati in altri post(i); basti pensare che per cogliere la fluidità di un testo è importante leggerlo a voce alta - quello che il lettore farà inconsciamente; e che anche in questo caso vince sempre l'alternanza: usare lettere giuste in base a suono e ruolo; sciogliere la lingua dall'inciampo; rispettare accenti e lunghezze.
D'altronde quando "leggiamo a nastro" vuol dire che il testo è melodia.
D'altronde quando "leggiamo a nastro" vuol dire che il testo è melodia.
L'espressione gergale non è casuale: imparare a cogliere il ritmo del testo è come ascoltare una melodia con gli occhi chiusi e il dito che batte sul petto [esercizio che consiglio di prendere come vizio]. Per essere orecchiabile, la melodia è cadenzata - non a caso "ritmo" e "ritornello" hanno la stessa etimologia - ma non la singola nota: quella è variata. Il tutto diventa armonia quando non contempla il verbo "stonare": note che cozzano e stridono fra loro sarebbero solo rumore. Tu fai conto che il tono sia l'accento, la lettera una nota, le parole insiemi di note accentate e le frasi ritornelli che scorrono fluidi per comporre un testo melodico.
"Non so, a me pare che suoni proprio male" è un modo di dire che non ci può stare.
"Non so, a me pare che suoni proprio male" è un modo di dire che non ci può stare.
E i periodi?
Anche loro sono come le parole [e differiscono dalla pasta].
Ci sono quelli lunghi che cullano l'occhio fino alla riga successiva; e quelli brevi che incalzano e non lasciano tregua. Troppo lunghi stancano, troppo brevi stressano.
Di nuovo la scrittura s'adatta al periodo storico e assistiamo inermi al tripudio del testo conciso: poco tempo, mezzo veloce, lettura su schermo. Sì, viviamo nell'ossimoro di un passato futurista; ma tu fai conto d'essere passato dal valzer settecentesco al futuro (fis)armonico del nostro secolo [che rende bene crisi e crasi]: apro e chiudo; apro e chiudo.
Il testo ideale alterna paragrafi lunghi a paragrafi brevi: la sua lunghezza varia in base al senso che gli vogliamo dare. Se sto descrivendo una scena concitata sarò breve; se mi sto perdendo in una riflessione pacata, farò in modo che l'occhio del lettore stia sulle mie parole il più a lungo possibile.
Posso anche scegliere di stupire, lanciandomi in ardue contaminazioni grafiche e creative: font tondi e spaziosi per concetti mmmorbidi; o duri e stretti per slogan taglienti.
Italo Calvino nelle sue "Lezioni Americane" fa notare come rapidità e mancanza di particolare lascino spazio all'immaginazione. Per quanto possa valere, io faccio lo stesso nei post Facebook dove racconto la mia giornata concitata: uno perché concitata lo è; due perché lo spazio limitato del social network impone la strozzatura del testo. Come esiste l'economia della lingua, secondo la quale lo stesso termine può avere più significati; così esiste l'economia del racconto, che lascia volare l'immaginazione del nostro lettore: mentre legge... riempie.
D'altronde l'alternanza lungo/breve ha un vantaggio visivo che sul web ha la sua importanza: paragrafi di consistenza diversa attirano la curiosità e fanno respirare l'occhio.
D'altronde l'alternanza lungo/breve ha un vantaggio visivo che sul web ha la sua importanza: paragrafi di consistenza diversa attirano la curiosità e fanno respirare l'occhio.
Blocchi di testo sì, quindi; ma anche variati.
Ritmo è scorrevolezza
Perché, se il flusso dell'acqua interrotto dal sasso può essere bello e produrre un effetto a mulinello, il lettore s'è già imbarcato nel tuo testo: non lo sta contemplando seduto sulla riva mentre scorre; un salto improvviso potrebbe sbalzarlo fuori dalle righe in un attimo fulmineo.
Come quando s'avverte un temporale e tutto inizia a tremare. Per evitare?
D'altronde la punteggiatura è un'arma potente per comunicare pause, sospiri, emozioni.
E anche intonazioni.
Intonazione tra segno, disegno, posizione [e altre cose]
Nella scrittura l'intonazione non c'è: tutto si concentra su parole e punteggiatura.
Poi, da quando è arrivato il web, la seconda è diventata anche "disegno emozionale".
Ma ecco qualche altro particolare che aiuta il ritmo testuale:
Figure retoriche e conclusione [altrettanto] retorica
Sì ci sono anche loro; e col ritmo c'entrano parecchio.
Abusate, odiate, lanciate nel testo come un boomerang ad effetto vanno sfruttate con cura: no ai luoghi comuni, sì all'originalità; no all'estro spinto, sì alla delicatezza; no alla lunghezza, sì alla brevità.
La figura retorica colpisce il lettore e rompe la monotonia del testo; ma lo costringe a uno sforzo interpretativo non indifferente - oltre al fatto che deve "uscire dal filo" per tornare a riprenderlo.
Alcune espressioni figurate sono divagazioni tali da confondere lettori e motori.
Meglio saperle dosare a costo di tarparsi le ali.
D'altronde usare la retorica è come scivolare sulla spirale del nostro DNA.
Per questo chiudo il post così come l'ho iniziato, cioè con un detto latino che riassume bene la variatio: festina lente. Affrettati lentamente.
Ritmo è scorrevolezza
Perché, se il flusso dell'acqua interrotto dal sasso può essere bello e produrre un effetto a mulinello, il lettore s'è già imbarcato nel tuo testo: non lo sta contemplando seduto sulla riva mentre scorre; un salto improvviso potrebbe sbalzarlo fuori dalle righe in un attimo fulmineo.
Come quando s'avverte un temporale e tutto inizia a tremare. Per evitare?
- Assegnare a ogni periodo un solo pensiero; e a ogni paragrafo un argomento preciso
- Collegare bene i pensieri fra loro e mettere il punto solo dov'è necessario
- Buttarsi a capofitto sull'elenco puntato, quando i concetti sono troppi
D'altronde la punteggiatura è un'arma potente per comunicare pause, sospiri, emozioni.
E anche intonazioni.
Intonazione tra segno, disegno, posizione [e altre cose]
Nella scrittura l'intonazione non c'è: tutto si concentra su parole e punteggiatura.
Poi, da quando è arrivato il web, la seconda è diventata anche "disegno emozionale".
Ma ecco qualche altro particolare che aiuta il ritmo testuale:
- la posizione di parola e frase in base a suono e rilevanza
- l'alternanza tra punteggiatura forte/debole
- la contaminazione tra congiunzioni/interruzioni
- la variazione tra sillabe toniche/atone - Alessandro Lucchini in Business Writing fa notare, ad esempio, che la parola accentata sull'ultima sillaba (tronca) enfatizza la domanda interrompendola all'apice e lanciando la palla all'interlocutore [sarà per questo che alla domanda "Vuoi un caffè?" tronchiamo sempre con un "sì"?]
D'altronde il valore della domanda è ben noto anche nella scrittura di CTA: usarla.
Figure retoriche e conclusione [altrettanto] retorica
Sì ci sono anche loro; e col ritmo c'entrano parecchio.
Abusate, odiate, lanciate nel testo come un boomerang ad effetto vanno sfruttate con cura: no ai luoghi comuni, sì all'originalità; no all'estro spinto, sì alla delicatezza; no alla lunghezza, sì alla brevità.
La figura retorica colpisce il lettore e rompe la monotonia del testo; ma lo costringe a uno sforzo interpretativo non indifferente - oltre al fatto che deve "uscire dal filo" per tornare a riprenderlo.
Alcune espressioni figurate sono divagazioni tali da confondere lettori e motori.
Meglio saperle dosare a costo di tarparsi le ali.
D'altronde usare la retorica è come scivolare sulla spirale del nostro DNA.
Per questo chiudo il post così come l'ho iniziato, cioè con un detto latino che riassume bene la variatio: festina lente. Affrettati lentamente.
Ché, nell'ossimoro sinfonico dell'alternanza, c'è tutta l'ossatura della buona scrittura.
Grazie ad Alessandro Lucchini e al suo prezioso Business Writing
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