Comunicare è saper trasmettere qualcosa. Sì, ma cosa?
Noi stessi? L'azienda? Il prodotto dell'azienda?
Nel primo caso parliamo di "writing voice".
Nel secondo e nel terzo di "tone of voice".
Scopriamo insieme le differenze.
Tone of voice e Writing Voice: due anglicismi composti che ruotano intorno alla parola "voce": quella che manca quando scriviamo. Paradossale. Eppure l'ambito in cui si muovono questi termini - scuserai l'ossimoro - è proprio la comunicazione scritta.
Come renderla, quindi, questa "voce"? Come farla "sentire" tra le righe?
E quali sono le differenze fra tone e writing?
Tone of Voice: quando parlano azienda e prodotto
Fare lo scrittore "commerciale" è affare complesso; perché di solito uno scrive per se stesso e lo fa come meglio viene BARRA crede. Ma quando si lavora per dar voce a una cosa diversa da sé, tutto cambia. Ho letto di blogger professionisti (?) che "impongono alle aziende il proprio stile e [addirittura] il calendario editoriale". Professionale? Io rabbrividisco - solo un po' - per loro, vibro la palpebra e cerco di spiegare il motivo per cui proprio non si può.
Il "tone of voice" è il modo in cui un'azienda comunica all'esterno se stessa, i suoi prodotti, i vantaggi dei suoi prodotti e i motivi dei vantaggi dei suoi prodotti (reason why).
Il tutto avviene attraverso la penna di chi declina i messaggi su mezzi di comunicazione diversi.
Quella penna può essere mia, tua, loro.
La "voce" passa attraverso di noi, ma non è la nostra voce: bisogna immedesimarsi nell'azienda - o nel suo prodotto - quasi come fosse una persona e partire da un brief imposto. Noi writer diventiamo medium, che conoscono bene di cosa si parla e lavorano per costruire un'identità sui media.
Il "tone of voice" è unico, chiaro, coerente; come si potrebbe conciliare con lo stile di dieci, cento, mille scrittori diversi che lavorano - magari - sugli stessi progetti?
Tom Albrighton di A, B, C Copywriting spiega come e perché definire il "tono di voce":
Annamaria Testa, in La Parola Immaginata, aggiunge altri utili consigli sul tone of voice:
Writing Voice: quando a parlare siamo noi
I cugini americani definiscono la writing voice come "il suono, la forza e l'effetto di ciò che scriviamo".
Di ciò che NOI scriviamo. Si tratta di cercare il proprio stile e renderlo riconoscibile.
Facendo una distinzione tra blog aziendale e blog individuale potremmo dire che il tone of voice definisce l'identità dell'azienda/prodotto attraverso di noi; il writing voice la nostra identità.
Lucchini, nel suo Business Writing, indica la strada da percorrere per trovare la propria "voce":
Conclusioni e... considerazioni
Per scrivere questo post sulla "voce" mi sono affidata alla "voce" di altri: grandi professionisti del settore, da cui si può solo imparare. Ma, ovviamente, ho anche una modesta esperienza personale.
Io scrivo su questo blog, dove cerco di dare un punto di vista originale; e lo faccio seguendo il mio stile personale; poi scrivo per la mia azienda - entità astratta fatta di cose e persone - dove mi trovo a veicolare prodotti diversi in modi diversi.
Da una parte parlo di personal branding e writing voice; dall'altra di brand identity e tone of voice.
In entrambi i casi scrivere significa lasciare segni coerenti a livello lessicale e... visuale.
In entrambi i casi il risultato è frutto di una pianificazione, che non si può inquadrare in regole monolitiche.
In entrambi i casi lo stile è ciò che differenzia una cosa/persona da un'altra, una storia da un'altra, un fine da un altro, un pubblico da un altro, un messaggio da un altro.
Ma mentre nel primo caso - buono o cattivo che sia - ognuno può decidere in base alla propria personalità, nel secondo si tratta di contribuire a creare un'identità altrui per comunicarla di conseguenza.
Farsi medium - attraverso i media - è ciò che distingue lo scrittore professionale da quello amatoriale.
Immaginiamo il lettore immerso nel silenzio: gli occhi che scorrono sulle nostre parole, i testi che rimbombano nella sua testa, la voce che suona come musica letta: fraseggio, pause, ritmo, velocità.
Noi stessi? L'azienda? Il prodotto dell'azienda?
Nel primo caso parliamo di "writing voice".
Nel secondo e nel terzo di "tone of voice".
Scopriamo insieme le differenze.
Tone of voice e Writing Voice: due anglicismi composti che ruotano intorno alla parola "voce": quella che manca quando scriviamo. Paradossale. Eppure l'ambito in cui si muovono questi termini - scuserai l'ossimoro - è proprio la comunicazione scritta.
Come renderla, quindi, questa "voce"? Come farla "sentire" tra le righe?
E quali sono le differenze fra tone e writing?
Tone of Voice: quando parlano azienda e prodotto
Fare lo scrittore "commerciale" è affare complesso; perché di solito uno scrive per se stesso e lo fa come meglio viene BARRA crede. Ma quando si lavora per dar voce a una cosa diversa da sé, tutto cambia. Ho letto di blogger professionisti (?) che "impongono alle aziende il proprio stile e [addirittura] il calendario editoriale". Professionale? Io rabbrividisco - solo un po' - per loro, vibro la palpebra e cerco di spiegare il motivo per cui proprio non si può.
Il "tone of voice" è il modo in cui un'azienda comunica all'esterno se stessa, i suoi prodotti, i vantaggi dei suoi prodotti e i motivi dei vantaggi dei suoi prodotti (reason why).
Il tutto avviene attraverso la penna di chi declina i messaggi su mezzi di comunicazione diversi.
Quella penna può essere mia, tua, loro.
La "voce" passa attraverso di noi, ma non è la nostra voce: bisogna immedesimarsi nell'azienda - o nel suo prodotto - quasi come fosse una persona e partire da un brief imposto. Noi writer diventiamo medium, che conoscono bene di cosa si parla e lavorano per costruire un'identità sui media.
Il "tone of voice" è unico, chiaro, coerente; come si potrebbe conciliare con lo stile di dieci, cento, mille scrittori diversi che lavorano - magari - sugli stessi progetti?
Tom Albrighton di A, B, C Copywriting spiega come e perché definire il "tono di voce":
- dà carattere unitario alla comunicazione aziendale; la coerenza - importante nel design - lo è altrettanto nei contenuti, che devono uscire come se provenissero da un'unica fonte
- lancia messaggi chiari e coerenti per comunicare solidità, affidabilità, onestà - così come avviene nella vita reale: persone che mutano sempre "faccia" risultano ambigue
- può variare a seconda che si tratti dell'azienda o di un marchio: ogni realtà/prodotto ha il suo modo di comunicare; ogni realtà/prodotto ha un pubblico diverso; ogni realtà/prodotto può cambiare nel tempo (al contrario dell'azienda portatrice di valori spesso immutabili)
- è parte integrante della brand identity, la serie di "scelte" che distinguono l'immagine di un brand da un'altro; pensare l'azienda come una persona è utile per individuarne i valori: chiediamoci sempre "se fosse un individuo come sarebbe? Cosa direbbe? Come si vestirebbe? Con chi parlerebbe?"
- esprime valori unici: no ai bluff e no alla "globalizzazione valoriale" per prodotti simili; cerchiamo di dire la verità e facciamolo sempre in modo differente
- consente di adeguare il messaggio a pubblico e mezzo: registro di stile, vocabolario, grammatica; scegliamo parole comprensibili - il singolo prodotto può rivolgersi a più persone - e adeguiamole al mezzo - pensiamo, per esempio, alla rivoluzione B&C dei social network
Annamaria Testa, in La Parola Immaginata, aggiunge altri utili consigli sul tone of voice:
- è frutto del modo in cui si lancia un messaggio: esagerazione, affermazione, attenuazione
- esprime intenzione ed emozione: romantico, concreto, allegro, rassicurante, ottimista, razionale; scrivere per un'azienda significa anche abbinare un concetto a un sentimento: se il primo deriva dalle caratteristiche del prodotto e dalle sue performance, il secondo va calibrata in base al pubblico - attese, desideri, immagine riflessa, scopo
- dipende sempre dal brief, che definisce i valori dell'azienda e il modo in cui vorrebbe comunicarli all'esterno; se siamo freelance lavoriamo prima su questionari, interviste, profili social
- passa attraverso il lettering - non si tratta solo di gusto personale o fattore estetico: la scelta del font può influire sul senso del messaggio
- passa attraverso lo storytelling, dato che "per ciascun prodotto si possono scrivere molte storie; e ogni storia può essere raccontata in tanti modi diversi"
Writing Voice: quando a parlare siamo noi
I cugini americani definiscono la writing voice come "il suono, la forza e l'effetto di ciò che scriviamo".
Di ciò che NOI scriviamo. Si tratta di cercare il proprio stile e renderlo riconoscibile.
Facendo una distinzione tra blog aziendale e blog individuale potremmo dire che il tone of voice definisce l'identità dell'azienda/prodotto attraverso di noi; il writing voice la nostra identità.
Lucchini, nel suo Business Writing, indica la strada da percorrere per trovare la propria "voce":
- farsi ricordare al di là di quello che si scrive - difficile definire lo stile personale: correttezza ortografica, sintattica e grammaticale non bastano; a fare la differenza è sempre il modo in cui si esprime un'emozione: suono, costruzione, sequenza, posizione delle parole. Tutte cose che sostituiscono il non verbale e che fanno la differenza.
- Metterci la faccia - chi legge, non ci vede; ma attraverso il modo in cui scriviamo riesce a capire il nostro stato d'animo: tono, ritmo, punteggiatura, creazione d'immagini, esperienza condivisa, scelta lessicale. Tutti strumenti utili per esprimere i nostri sentimenti e far sentire, attraverso la scrittura, la nostra voce/personalità.
- Comunicare se stessi - esprimere emozioni è difficile: oltre alle citate scelte di stile, occorre possedere un ampio repertorio linguistico e una personalità ben definita: aggressiva, autoritaria, dolce, ironica, cinica, didascalica, calda/fredda. Pensiamo a quante sfumature può avere lo stesso sentimento: a ognuna di loro corrispondono precise scelte di stile.
- Scrivere come si parla - anche in questo caso il mantra è stigmatizzato nel Writing the way you speak del City University of New York: avvicinare la lingua scritta a quella parlata, significa essere autentici e rendere il testo più incisivo; come le persone riconoscono la nostra voce quando parliamo, così devono riuscire a farlo quando scriviamo. I grandi scrittori sono diventati tali ascoltando gli insegnanti e imparando le regole per poi contravvenire alle stesse
- Liberarsi dai vincoli - quando parliamo, calibriamo sempre il tono a seconda di chi abbiamo davanti; e ognuno di noi lo fa in modo diverso, secondo il proprio stile. Stessa cosa avviene quando scriviamo: liberiamoci delle parole innaturali; evitiamo quelle gergali. Questo dice la Piemontese in Capire e farsi capire: teorie e tecniche di scrittura controllata: “Il primo criterio per scrivere chiaro è scrivere come si parla. Il senso non è ignorare o appiattire le differenze tra scritto e parlato. Questo suggerimento non va inteso alla lettera, ma invita chi scrive a cercare la soluzione più semplice per esprimersi, pensando al modo in cui si esprimerebbe parlando”. Scrivere come si parla non significa banalizzare, ma scrivere in modo semplice, corretto, naturale. Dobbiamo instaurare con il lettore una relazione simile a come sarebbe avendolo di fronte a noi.
Conclusioni e... considerazioni
Per scrivere questo post sulla "voce" mi sono affidata alla "voce" di altri: grandi professionisti del settore, da cui si può solo imparare. Ma, ovviamente, ho anche una modesta esperienza personale.
Io scrivo su questo blog, dove cerco di dare un punto di vista originale; e lo faccio seguendo il mio stile personale; poi scrivo per la mia azienda - entità astratta fatta di cose e persone - dove mi trovo a veicolare prodotti diversi in modi diversi.
Da una parte parlo di personal branding e writing voice; dall'altra di brand identity e tone of voice.
In entrambi i casi scrivere significa lasciare segni coerenti a livello lessicale e... visuale.
In entrambi i casi il risultato è frutto di una pianificazione, che non si può inquadrare in regole monolitiche.
In entrambi i casi lo stile è ciò che differenzia una cosa/persona da un'altra, una storia da un'altra, un fine da un altro, un pubblico da un altro, un messaggio da un altro.
Ma mentre nel primo caso - buono o cattivo che sia - ognuno può decidere in base alla propria personalità, nel secondo si tratta di contribuire a creare un'identità altrui per comunicarla di conseguenza.
Farsi medium - attraverso i media - è ciò che distingue lo scrittore professionale da quello amatoriale.
Imparare da chi ne sa più di noi è un buon inizio per non perdersi nel rumoroso BLA-terare.
Immaginiamo il lettore immerso nel silenzio: gli occhi che scorrono sulle nostre parole, i testi che rimbombano nella sua testa, la voce che suona come musica letta: fraseggio, pause, ritmo, velocità.
In una parola: stile.
In quattro parole: clear writer, clear thinker.
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