Origine, studio, inclinazione.
Borracce piene
Da quando scrivo mi chiedo perché lo faccio in modo istintivo.
Già, come si diventa copywriter?
Da dove nasce questa passione? E quando?
Beh, direi che non c'è stagione migliore dell'estate per interrogare se stessi.
Borracce piene
Da quando scrivo mi chiedo perché lo faccio in modo istintivo.
Già, come si diventa copywriter?
Da dove nasce questa passione? E quando?
Beh, direi che non c'è stagione migliore dell'estate per interrogare se stessi.
Liberata la testa, diventiamo avidi come borracce vuote in attesa del fluido creativo.
E ci sono stimoli che aiutano la riflessione, intesa nell'accezione originaria di "piegarsi su se stessi".
E ci sono stimoli che aiutano la riflessione, intesa nell'accezione originaria di "piegarsi su se stessi".
Stimoli come questi:
Così Montanelli descrive l'infanzia di Enrico Schlieman, l'archeologo che scoprì Troia.
"La prima storia che gli raccontò suo padre, quando aveva cinque o sei anni, non fu quella di Cappuccetto Rosso; ma quella d'Ulisse, Achille e Menelao".
Così Montanelli descrive l'infanzia di Enrico Schlieman, l'archeologo che scoprì Troia.
Nessuno credeva nell'intuito del tedesco esuberante: tutti lo prendevano per matto.
Eppure Schlieman, alla fine, ha coronato il sogno di una vita intera.
Io non mi paragono certo a cotanto maestro, pur essendo un'archeologa mancata.
Ma tu sai com'è, no?
Ci sono parole che smuovono il ricordo di lunghe serate estive trascorse tanti anni fa: c'ero io, c'erano le stelle, c'era mio nonno; e Dante con i Promessi Sposi sedevano fra noi.
Il sogno all'Indiana Jones è svanito col tempo e la profonda conoscenza di me stessa: R.I.P.
Ma una cosa è rimasta certa: l'amore per le parole.
Te lo racconto nel quarto - e ultimo - post del RobyCopyTelling dedicato alla mia estate.
My lesson number #3, ovvero quello che cerco di fare
Origine
Come t'accennavo, correvano i mitici anni '80.
C'ero io. C'era mio nonno. C'erano la luna, le stelle, il bicchiere di menta.
Le chiamavamo "seratine", per quella strana abitudine che hanno gli adulti d'usare il diminutivo per ogni cosa che riguarda il bambino. E da bambina qual ero, adoravo le "seratine".
Dopo cena - abbrustolita dal sole - attendevo di rinfrescarmi con fiumi di parole.
Ormai lo sai: Toi era un chimico.
Ma, come ripeteva spesso mia nonna, quelle di oggi non sono certo le Università d'una volta.
Quindi lui, mio nonno, sapeva citare a memoria roba come la Divina Commedia, Boccaccio e i Promessi Sposi con tutta la loro storia. E le raccontava a noi, piccoli nipoti curiosi.
Mi chiedevo come facesse a sapere tante cose: affascinata, lo ascoltavo per ore.
E mi dicevo che un giorno sarei stata come lui.
Oggi mi rendo conto che lo sforzo maggiore stava nel raccontare storie complesse in modo semplice, ma non piatto; sintetico, ma non frammentario; mimetico, ma non teatrale.
Quelle avventure piene di mistero e colpi di scena, buoni e cattivi, angeli e diavoli mi coinvolgevano a tal punto che mi rifiutavo di andare a letto quand'era giunta la (mia) ora.
Prima di addormentarmi continuavo a immaginare intrecci, persone, finali diversi.
Ho imparato ben presto che:
Studio
A furia di sognare storie e parole, storie e parole sono diventate il mio sogno.
E così mi sono trovata dove volevo stare: studi classici, archeologia classica, percorso "classico".
Non mi pento di niente; anzi, la formazione ha dato buoni... flutti.
Mamma racconta spesso un aneddoto che mi fa capire quanto sia radicato in me l'amore per le parole.
Compivo sette anni, quando suor Maria chiamò dalla scuola; avevo risposto in modo strano a una domanda: "Qual è, Roberta, il tuo libro preferito?" e io: "I Promessi Sposi signora".
Il dubbio era che fossi bugiarda, una delle poche volte in cui ero stata profondamente sincera.
Adoro questo episodio: conferma che la mia strada non poteva ch'essere questa.
Certo non conoscevo ancora me stessa. E ho imparato a caro prezzo che non sempre la passione iniziale coincide con la missione finale: a volte è necessario guardare oltre e respirare a(l) fondo per cogliere il senso della lezione.
Inclinazione
Oggi, nel dormiveglia, sento ancora parole.
Mi girano in testa tutto il giorno e rimbombano tutt'intorno, finché la sera si addormentano con me. Ma restano nella veglia del subconscio, perché io sono una di quelle persone che fa parlare le ombre; quelle che al risveglio svaniscono come fantasmi, lasciando un'eco dialogica nella memoria.
Eppure Schlieman, alla fine, ha coronato il sogno di una vita intera.
Io non mi paragono certo a cotanto maestro, pur essendo un'archeologa mancata.
Ma tu sai com'è, no?
Ci sono parole che smuovono il ricordo di lunghe serate estive trascorse tanti anni fa: c'ero io, c'erano le stelle, c'era mio nonno; e Dante con i Promessi Sposi sedevano fra noi.
Il sogno all'Indiana Jones è svanito col tempo e la profonda conoscenza di me stessa: R.I.P.
Ma una cosa è rimasta certa: l'amore per le parole.
Te lo racconto nel quarto - e ultimo - post del RobyCopyTelling dedicato alla mia estate.
My lesson number #3, ovvero quello che cerco di fare
Origine
Come t'accennavo, correvano i mitici anni '80.
C'ero io. C'era mio nonno. C'erano la luna, le stelle, il bicchiere di menta.
Le chiamavamo "seratine", per quella strana abitudine che hanno gli adulti d'usare il diminutivo per ogni cosa che riguarda il bambino. E da bambina qual ero, adoravo le "seratine".
Dopo cena - abbrustolita dal sole - attendevo di rinfrescarmi con fiumi di parole.
Ormai lo sai: Toi era un chimico.
Ma, come ripeteva spesso mia nonna, quelle di oggi non sono certo le Università d'una volta.
Quindi lui, mio nonno, sapeva citare a memoria roba come la Divina Commedia, Boccaccio e i Promessi Sposi con tutta la loro storia. E le raccontava a noi, piccoli nipoti curiosi.
Mi chiedevo come facesse a sapere tante cose: affascinata, lo ascoltavo per ore.
E mi dicevo che un giorno sarei stata come lui.
Oggi mi rendo conto che lo sforzo maggiore stava nel raccontare storie complesse in modo semplice, ma non piatto; sintetico, ma non frammentario; mimetico, ma non teatrale.
Quelle avventure piene di mistero e colpi di scena, buoni e cattivi, angeli e diavoli mi coinvolgevano a tal punto che mi rifiutavo di andare a letto quand'era giunta la (mia) ora.
Prima di addormentarmi continuavo a immaginare intrecci, persone, finali diversi.
Ho imparato ben presto che:
- comunicare significa farsi capire
- la veglia è ben più illuminante del sonno
- le parole diventano memoria al risveglio.
Studio
A furia di sognare storie e parole, storie e parole sono diventate il mio sogno.
E così mi sono trovata dove volevo stare: studi classici, archeologia classica, percorso "classico".
Non mi pento di niente; anzi, la formazione ha dato buoni... flutti.
Mamma racconta spesso un aneddoto che mi fa capire quanto sia radicato in me l'amore per le parole.
Compivo sette anni, quando suor Maria chiamò dalla scuola; avevo risposto in modo strano a una domanda: "Qual è, Roberta, il tuo libro preferito?" e io: "I Promessi Sposi signora".
Il dubbio era che fossi bugiarda, una delle poche volte in cui ero stata profondamente sincera.
Adoro questo episodio: conferma che la mia strada non poteva ch'essere questa.
Certo non conoscevo ancora me stessa. E ho imparato a caro prezzo che non sempre la passione iniziale coincide con la missione finale: a volte è necessario guardare oltre e respirare a(l) fondo per cogliere il senso della lezione.
Inclinazione
Oggi, nel dormiveglia, sento ancora parole.
Mi girano in testa tutto il giorno e rimbombano tutt'intorno, finché la sera si addormentano con me. Ma restano nella veglia del subconscio, perché io sono una di quelle persone che fa parlare le ombre; quelle che al risveglio svaniscono come fantasmi, lasciando un'eco dialogica nella memoria.
No, nemmeno quando dormo e sogno rinuncio alla parola.
Oggi mi conosco un po' meglio.
So che amo comunicare con le persone, seguendo la mia inclinazione: quella creativa.
So che m'affascina la persuasione: quella positiva.
So che la parola non viene meno da sola: anche senza voce, quella è sempre viva.
Quindi...
... siamo arrivati alla fine di questo percorso diviso in quattro parti.
Un percorso che avevo bisogno di fare, per raccontarti chi sono e quello che vale la pena cercare.
Comunicare è un bisogno affettivo e naturale che - unito all'inclinazione creativa - fa di me quella che sono oggi: una scribacchina radicata poco radical chic, che si nutre d'osservazione, magia, istinto, curiosità, invenzione, mistero, immaginazione.
Spero di averti lasciato qualcosa della mia storia e della mia passione per le parole; soprattutto la mia emozione, nel senso etimologico del termine: qualcosa che si muove da me per coinvolgere te.
Oggi mi conosco un po' meglio.
So che amo comunicare con le persone, seguendo la mia inclinazione: quella creativa.
So che m'affascina la persuasione: quella positiva.
So che la parola non viene meno da sola: anche senza voce, quella è sempre viva.
Quindi...
... siamo arrivati alla fine di questo percorso diviso in quattro parti.
Un percorso che avevo bisogno di fare, per raccontarti chi sono e quello che vale la pena cercare.
Comunicare è un bisogno affettivo e naturale che - unito all'inclinazione creativa - fa di me quella che sono oggi: una scribacchina radicata poco radical chic, che si nutre d'osservazione, magia, istinto, curiosità, invenzione, mistero, immaginazione.
Spero di averti lasciato qualcosa della mia storia e della mia passione per le parole; soprattutto la mia emozione, nel senso etimologico del termine: qualcosa che si muove da me per coinvolgere te.
Da lì comincia tutto e poi s'arriva qui.
Quando sei muto, stanco e vuoi ricaricarti... torna pure da noi.
E perditi ancora nel fantastico mondo di nonno Toi.
Quando sei muto, stanco e vuoi ricaricarti... torna pure da noi.
E perditi ancora nel fantastico mondo di nonno Toi.
Leggi il capitolo 3: Vuoi stimolare la creatività? Torna bambino
Fonti: Indro Montanelli, "Storia dei Greci" - Rizzoli, 1959
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