Panico & Siringa

La mente umana, attraverso esperienze più o meno dirette, associa ai sostantivi 'panico' e 'siringa' qualcosa di doloroso e spiacevole. Quando i due termini in questione, poi, si trovano uno vicino all'altro il rifiuto è istantaneo, quasi fossero legati da uno stretto rapporto causa-effetto; basti pensare al panico che assale molti di noi davanti alla siringa di un medico o a quello di una madre inconsapevole che trova una siringa nella stanza del figlio o ancora, viceversa, all'uso della siringa come arma per provocare il panico o la morte di qualcuno.
Vedremo che il legame tra i due sostantivi è più solido di quanto si pensi e nulla ha a che fare con i sentimenti negativi che oggi suscita.
Si potrebbe definire un vero e proprio legame d'amore mancato, la cui storia si perde nella notte dei tempi.
Panico deriva dall'aggettivo greco panikòs (= del dio Pan); spesso unito a timore nell'espressione 'timor panico' era, per i Greci, un sentimento di paura incontrollata suscitato dalle urla terrificanti del curioso dio Pan, cui erano attribuiti lugubri rumori provenienti dai campi e dalle foreste.
Siringa deriva dal greco syrincs (= fischiare, zufolare, suonare il flauto); deve la sua origine al nome proprio di una ninfa amadriade ed era per i Greci uno strumento musicale a fiato, formato da canne di diversa lunghezza unite con cera o filo.
Che legame avevano questi due sostantivi in passato e com' è variato questo legame nel corso dei secoli?
Le informazioni su aspetto, origini e caratteristiche del dio Pan provengono da svariate fonti greche e latine, tra cui lo Pseudo-Omero, Luciano , Erodoto e Ovidio.
'Prodigio a vedersi' (XIX Inno Omerico), mezzo uomo e mezzo animale, Pan aveva due corna tortili piantate sulla testa, capelli ricci e lucenti, volto selvaggio e barbuto su cui dominava un naso con enormi narici, mento coperto da un'irsuta barbetta; la parte inferiore del corpo, di sembianze caprine, terminava in due piedi biforcuti ed era munita di coda che spuntava dalle natiche.
La ninfa agreste Driope, unitasi ad Hèrmes in amore, rimase talmente spaventata dal volto selvaggio e dall'aspetto ibrido del figlio che fuggì via, abbandonandolo al suo destino.
'Hèrmes arrivò nell'Arcadia ricca di fonti, madre di greggi, dove cè un tempio dedicato a lui, signor Cillenio. E là, benchè fosse un dio, pascolava le greggi lanute presso un mortale, perchè desiderio fioriva languido in lui di giacere in amore con la figlia Driope, fanciulla dai riccioli belli. E si strinse con lei nella gioia d'amore. Ed ella generò poi nelle stanze un figliolo ad Ermes diletto ... fuggì la nutrice atterrita alla vista di quel volto selvaggio e barbuto lasciando il fanciullo ...' (XIX Inno Omerico a Pan)
In Luciano, si trova una spiegazione più dettagliata sul motivo dell'orribile aspetto di Pan; è lui stesso che riferisce all'incredulo padre Mercurio (= Hèrmes dei romani) le parole che la madre Penelope gli rivolse: 'O figliolo, io sono tua madre Penelope figlia d'Icaro; sappi che hai per padre il dio Mercurio, prole di Maia e di Giove. Se tu hai le corna ed i piedi forcuti, non dispiacertene, perchè per accoppiarsi con me tuo padre si nascose dietro le sembianze di un capro e, quindi, tu ad un capro sei venuto simile (Luciano - Dialoghi XII)
Se la maternità di Pan è indubbiamente controversa - tra le altre candidate Penelope la ninfa, Callisto, Ybris e la capra Beroe - tutte le fonti sono concordi sulla reazione negativa della primipara alla vista della strana creatura; toccò al pietoso padre Hèrmes occuparsene: ' ... ma subito Hèrmes lo prese benevolo tra le sue braccia: godeva nell'animo il dio; e avvolto il fanciullo con pelle villosa di lepre montana, salì alle sedi dei numi: presso Zeus lo depose e gli altri immortali tutti e suo figlio mostrò: allegri ne furono i numi ... e Pan lo chiamarono perchè il cuore allietava di tutti' (IXX Inno Omerico)
In particolare il dio Dioniso 'amante dell'orgia furente' (XIX Inno Omerico) lo accolse con entusiasmo fra i suoi accoliti, tanto che Pan divenne uno dei suoi compagni prediletti; insieme facevano orge e scorribande attraverso i boschi, saltellando sulle rocce e rallegrandosi della reciproca compagnia.
Pan: 'Bacco non può far nulla senza di me; lui mi ha fatto suo compagno ... ed io gli guido i balli' (Luciano)
Il dio viveva lontano dall'Olimpo sulle native alture dell'Arcadia, di cui era indiscusso signore e dove cacciava indisturbato; le sue maggiori occupazioni erano l'allevamento delle api e la pastorizia.
'Vaga Pan per le valli boscose in compagnia delle Ninfe danzatrici, frequenta tutte le alture nevose e le cime dei monti ed i sentieri pietrosi. Si aggira in su ed in giù per le fitte macchie, ora è attratto dall'acqua di tranquilli ruscelli, ora si arrampica su rocce inaccessibili, salendo sulla cima più alta per sorvegliare le greggi. Spesso corre per le grandi montagne biancastre, spesso attraversa le valli, facendo strage di selvaggina grazie alla vista acutissima ...' (XIX Inno Omerico)
Pan: 'Se tu vedessi qiante sono le mie greggi in Arcadia, padre, ne saresti lieto' (Luciano)
Colpevole il suo aspetto, l'essere semiumano passava molto tempo in solitudine e nulla gli piaceva di più della sua siesta pomeridiana, durante la quale non amava essere disturbato; signore dei campi e delle selve, si vendicava sugli ignari viandanti con un'apparizione improvvisa e beffarda accompagnata da grida acute e lugubri.
Nel VI libro delle sue 'Storie', Erodoto racconta che gli Ateniesi riconoscevano al grido del dio Pan il merito d'aver disperso i Persiani durante la battaglia di Maratona e parla di un tempio a lui dedicato per questo motivo sull'Acropoli:
'... per prima cosa gli strateghi, mentre erano ancora in città, inviarono a Sparta come araldo il cittadino ateniese Filippide, che era, di professione, un messaggero per le lunghe distanze. Filippide, come lui stesso raccontò e riferì ufficialmente agli Ateniesi, nei pressi del monte Partenio, sopra Tegea, s'imbatté in Pan. Pan, dopo aver gridato a voce altissima il nome di Filippide, gli ingiunse di chiedere agli Ateniesi perché mai non si curavano affatto di lui, benché fosse loro amico e li avesse aiutati molte volte in passato e fosse pronto a farlo per il futuro. E gli Ateniesi, una volta ristabilitasi la situazione, avendo creduto veritiero tale racconto, edificarono ai piedi dell'acropoli un tempio di Pan, che venerano ogni anno, dopo quel messaggio, con sacrifici propiziatori e una corsa di fiaccole'.
Dell'intervento a favore degli Ateniesi nella famosa battaglia parla anche Luciano:
Pan 'Ultimamente ho dato un grande aiuto agli Ateniesi e combattutto con tanto valore a Maratona che in premio mi diedero una spelonca sotto la cittadella'.
Ma il mito più famoso legato a questa caratteristica è contenuto nella Titanomachia, quando Pan salva gli dei emettendo un acuto urlo e facendo fuggire il drago Delfine.
Nonostante l'aspetto feroce e le azioni violente, si trattava pur sempre di un allegro e giocoso dio silvestre, che amava suonare e scatenarsi nelle lunghe danze tribali dei riti dionisiaci:
'... il dio ora danza in tondo, ora entra nel mezzo con rapidi passi portando sul dorso una fulva pelle di lince, ora si esalta nel cuore al canto ritmato ...' (XIX Inno Omerico)
Pan era molto agile, correva veloce sulle rocce ed era imbattibile nel salto; nutriva, inoltre, una vera e propria passione per le ninfe dei boschi, con cui si accompagnava in canti e balli scalmanti e che spaventava a morte con gesti violenti se si mostravano ritrose alle sue insistenti 'avances'.
'Le Ninfe danzatrici amano percorrere le cime delle rupi scoscese invocando Pan ... le Ninfe montane dalla limpida voce si uniscono al suo canto, danzando con passi rapidi presso la fonte profonda, mentre l'eco risuona dalla vetta del monte' (XIX Inno Omerico).
Seduttore incontentabile e dotato, era per sua stessa ammissione troppo focoso ed incapace di amare una sola donna; davanti alla domanda provocatoria di Hèrmes sul perchè non si fosse ancora sposato, Pan risponde:
'... tu prendi in giro, ma io mi sollazzo con Eco, Piti e tutte le Menadi di Bacco che mi vogliono un gran bene' (Luciano)
E' in questo contesto che si inserisce il 'colpo di fulmine' del dio per la splendida ninfa Siringa, figlia del fiume Ladone.
Nel I Libro delle 'Metamorfosi' Ovidio descrive l'incontro tra i due e la trasformazione invocata dalla fanciulla per poter sfuggire alla violenta presa del dio:
'Negli ombrosi e gelati monti d’Arcadia
fra l’Amadriadi Nonacrine piacque
una, che Naiade era, che in quei fonti,
che surgon quivi, fe sua vita e nacque.
Satiri e Fauni, e Dei più vaghi, e conti,
Sempre scherniti havea; tanto le spiacque
Il commercio d’Amor, quasi empio, e stolto,
Per havere à Diana il suo cor volto.
Siringa nome havea la Ninfa bella,
Che studiò d’ imitar l’Ortigia Dea
Con la virginità, con la gonnella,
Con ogni cosa, ch’essa usar solea.
Non si riconoscea questa da quella,
Ch’ in ambe ugual beltà si discernea.
Nel l’arco sol disconvenner tra loro,
Questa l’usò di corno, e quella d’oro.
Mentre ella un dì dal bel Liceo ritorna
Casta nel cor, nel volto allegra, e vana,
La vede un Dio, c’ha due caprigne corna,
Co i piè di capra, e con sembianza humana:
Com’ei la vede sì vaga, e sì adorna,






Ne sa, che ’l cor sacrato habbia à Diana,
Le dice, ò Ninfa, à i dolci voti attendi,
E quel Dio, che ti vuol, marito prendi.
Havea molto che dir Mercurio intorno
A quel, che à Pan in questo amore occorse,
Il qual di Pino, e di corona adorno,
In van pregolla, in van dietro le corse,
E come corso havrian tutto quel giorno,
Se non, che un fiume à lor venne ad opporse,
Che ’l Ladon fiume il correre impedio
A la gelata Ninfa, al caldo Dio.

Là dove giunta pregò le sorelle,
Che volesser salvarla in alcun modo,
E s’appreser le piante tenerelle
Al terren paduloso, e poco sodo,



Che tutte l’ossa sue si fer cannelle,
Ch’ogni giuntura sua si fece un nodo,
Che gran foglie si fer le vesti tosto,
E tutto ’l corpo suo tenner nascosto.
E che correndo Pan in abbandono
Pensò tenerla, e sfogar la sua voglia,
E che prese una canna, donde un tuono
Flebile uscia, come d’huom, che si doglia,
Che mentre ella spirò, rendè quel suono
Il vento mosso in quella cava spoglia,
E come Pan da tal dolceza preso;
Disse; In van non havrò tal suono inteso.
E di non pari calami compose
Con cera aggiunti il flebile istrumento.
A cui poscia Siringa nome pose
Dal nome suo, da quel dolce lamento'.


E' straziante pensare alla delusione di Pan quando l'oggetto del suo amore si trasformò in un mucchio d'esili canne; lui, afflitto, decise di tagliarle in tanti pezzi di diversa lunghezza e di stringerle insieme con la cera, dando vita ad uno strumento musicale dal melodioso lamento che i Greci chiamarono, appunto, Syringa.

'... solo al tramonto tornando dalla caccia, intona sulla Syringa una dolce melodia: non lo vince nel canto l'uccello che a primavera effonde un lamento con voce di miele tra i fiori e le foglie ...' (XIX Inno Omerico)

Lo strumento a stantuffo per iniettare liquidi che oggi utilizziamo in campo medico deve l'appelattivo proprio alla sua forma cilindrica, che ricorda quella di una canna. Accade così che il lamento malinconico e melodioso del flauto greco venga sostituito dal gridolino stridulo e fastidioso di pazienti facilmente impressionabili.
ll nome di colei che tanto fece per sottrarsi ad un triste destino ha finito per identificarsi con un oggetto colpevole di suscitare quel 'panico' che trova nell'esistenza del suo persecutore il più recondito significato. Con uno sbalorditivo rovesciamento di prospettiva, l'originaria vittima Siringa diventa causa della paura incontrollabile dal cui effetto essa stessa fuggiva.
La poesia dell'amore mancato e del doloroso lamento persistono nell'etimologia dei due sostantivi; perchè ciò che il tempo separa, mito e lingua possono tornare ad unire in eterno.

CURIOSITA'
La radice dei termini "Panico" e "Siringa" si trova invariata in diverse lingue, tra cui:
- l'inglese "Pain" e "Syringe";
- il francese "Panique" e "Seringue";
- lo spagnolo "Pànico" e "Jeringa".

In ambito linguistico, il termine panico va riferito ad un sentimento di paura incontrollata ed improvvisa, collettivo o personale; per la stessa ragione il sostantivo è accompagnato spesso dal verbo "assalire", volto a sottolineare la condizione di chi subisce passivamente qualcosa che non può controllare e di cui non conosce la causa precisa.
In ambito medico, si definisce attacco di panico un sentimento di timore che sorge immediato ed apparentemente senza motivo.
In ambito artistico-letterario, il sentimento panico della natura (o "panismo") s'identifica con una corrente che si sviluppa a cavallo tra '800 e '900 e che vede tra i suoi protagonisti poeti come D'Annunzio, Pascoli, Buadelaire, Rimbaud o artisti come Bocklin, Klimt, Boccioni, Segantini e Previati.

Testi da:
"Dizionario etimologico" - Rusconi Libri, 2007
Pseudo-Omero - Inno a Pan (1-2, 27, 37)
Luciano - Dialoghi degli Dei XXII "Mercurio e Pan", in Antichità
Igino - Fabulae
Ovidio - Metamorfosi, Libro I, 689-712
Erodoto - Storie VI, 105
Wikipedia - Enciclopedia on-line
Elicriso.it
Immagini da (in ordine di comparizione):
Arnold Boklin "Pan in the reed"
Francisco Goya "Sacrifice to Pan"
Jacopo Palma il Giovane "Pan e Siringa"
Federico Cervelli "Pan e Siringa"
Anonimo fiorentino sec. XVIII "Pan e siringa"
Stefano Pozzi "La fuga di Siringa"
"Incisione di Pan" - Archeoguida.it

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