Il sentiero del web è costellato di quotes, manco fosse quello di Pollicino.
Ma quante stelline e quanti pollicini guadagnano i quotes?
A quanto li quotiamo in termini d'interazione e "pane quotidiano"?
Facciamo il punto della situazione.
Che dire, poi, dei quote-bio [le citazioni nelle bio di Twitter] o dei progetti come twitteratura, dove si citano autori in 140 caratteri sulla base del tema giornaliero?
Insomma, il quote funziona. E quando una cosa funziona, abusarne è molto facile.
Ma quante stelline e quanti pollicini guadagnano i quotes?
A quanto li quotiamo in termini d'interazione e "pane quotidiano"?
Facciamo il punto della situazione.
Inizio questo post con una sottile provocazione; e lo faccio con una variazione sulla congiunzione.
Mi pare ovvio che Bruto, figlio adottivo di Cesare, non quotava affatto il suo modo di fare politica - e non escludo che l'abbreviazione del vocativo mihi in mi sia da attribuire a questa disamina qui [rido molto].
Ri-componiamoci.
Vero è che mille quotes invadono le pagine web: quel tanto che quand'è troppo... stroppia e scoppia.
Layout, font, strumenti veloci per citazioni visual: ogni mezzo è lecito per colpire l'attenzione dei lettori con parole, parole e... parole. Una mina (?) vagante che rischia di oscurare il senso con l'overload del verbo. Paradossale, non trovi?
Io sono pazza; ma l'esempio latino è parecchio azzeccato: si sappia. Perché la citazione BARRA quote viene da lontano; e la sua etimologia unisce l'inglese al linguaggio... nostrano.
Lo vedo scritto su tutti i muri...
... e pure su tanti diari. Dai su, non abbiamo inventato niente.
Facendo un giro a Pompei, scopriamo che i giovanotti (?) di 2000 anni fa imbrattavano i muri con scritte d'ogni tipo: c'erano quelle dipinte [manifesti elettorali] e quelle incise dalla gente comune; c'erano le frasi, ma anche i disegni. E, ovviamente, non potevano mancare le citazioni dei poeti più in auge: Lucrezio, Virgilio, Orazio, Ovidio; erano loro i "cantautori" del tempo, attraverso cui lasciare messaggi ai posteri.
I romani, poi, avevano più fantasia di noi e storpiavano i versi a loro piacimento.
E che dire della mitica Smemoranda anni '80?
Non so voi, ma la mia era piena di frasi memorabili: Beatles, Doors, Ghandi, Wilde [non esattamente in ordine alfabetico, ma secondo l'umore del momento]. Da sempre la citazione è un modo di veicolare idea. pensiero, emozione [Sì, lo faceva pure mia mamma secondo me].
Stiamo, quindi, regredendo a una fase adolescenziale?
Sono le nostre bacheche ridotte a un wall di citazione selvaggia e banale?
No, io non credo: semplicemente il linguaggio visual del web si muove tra il copy-ad promozionale e la necessità d'interazione sociale; il che è uguale al sempiterno quote che nessuno può negare.
"Ue', l'ha detto lui/lei eh; tu sai chi è? Come puoi non approvare?" - Eh certo.
Peccato accada spesso che non conosciamo bene il personaggio che osiamo citare; e che spesso non è proprio quello corretto per un determinato contesto.
Quotare sì, quindi; ma a caso anche no. Approfondiamo?
Io (ti) quoto
L'italiano proprio non ci piace: pace.
Eppure l'inglese quote - tu guarda un po' - deriva dal latino quotus [quanto? In che numero?] se pur variato dal medievale quotare [segnare con i numeri - riferito alle pagine di un libro].
In italiano la quota è un valore numerico, il cui significato si estende a comprendere molti soggetti diversi: una persona [professionista quotato]; un titolo in borsa; i contributi versati; gli elementi di una lista ben ordinati; le misure di monti, luoghi, edifici più o meno alti.
L'anglosassone quote risale al medievale "segnare le pagine di un libro", dove si annotavano appunti a margine e dove si trovavano le citazioni riportate nelle fonti; per traslazione quotare diventa "riportare una frase dell'autore" - chiunque esso sia.
Per questo il termine risulta tanto famigliare e spopola sul web: commentare un post con il neologismo "ti quoto", significa appoggiare il pensiero del suo autore - non per forza conosciuto urbi et orbi.
Un verbo pragmatico, dunque, che spinge all'azione "mi piace, stellino, ri-condivido".
Un verbo che si adatta bene alla dimensione scritta; meno a quella parlata.
Un verbo che "pesa", ma non distingue tra la fonte "comune" e quella accreditata.
Ma che cos'è la citazione? Qual è la sua legislazione? E come si usa in comunicazione?
Legislazione e fonti
Citare significa "riportare in un testo l'espressione di una persona diversa dall'autore".
Ci devono essere le virgolette prima e dopo; e le fonti originarie solo dopo.
Possiamo citare tutto: anche un luogo comune, un accenno figurativo, un detto proverbiale.
E possiamo anche variare. Ma com'è regolamentato questo... tutto?
Ovviamente dipende da paese a paese; basti sapere che, mentre negli USA vige il Fair Use, qui in Italia abbiamo una legge sulla "protezione del diritto d'autore" che risale - oh my God - al 1.941.
Una cosa nuova, insomma; adatta a regolamentare il nuovo linguaggio digitale.
Sia messo agli atti che la SIAE ha preteso compensi sui diritti d'autore anche per l'attività didattica.
Sì hai capito bene: non c'è limite al peggio. In ogni caso, il Governo ha risposto che la nostra legge del 1.941 può essere equiparata a quella statunitense; e noi siamo contenti: WikiQuote forever; ma pure The Oxford Dictionary of Quotation e The Columbia Dictionary of Quotations.
E be', ma ti pare.
La citazione in comunicazione
Perché si cita tanto?
Le ragioni sono più d'una e dipendono dal mezzo; limitandoci al web, direi che quelle principali sono:
- visive - le parole emergono dalla pagina con una potenza maggiore e attirano gli occhi del lettore: font, disegno, colore spingono il messaggio oltre il muro nero e bianco; impossibile non leggerle, per quanto i nostri occhi scorrano veloci
- emozionali - la citazione esprime uno stato d'animo di cui ci sentiamo partecipi e in cui vogliamo coinvolgere il lettore: l'importante è rispettare il contesto
- evocative - la citazione troneggia su foto, immagini, luoghi che immortalano nel tempo un pensiero riflessivo, ma anche "sensitivo" [vista, olfatto, gusto, udito, tatto]
- partecipative - la citazione esprime a caratteri cubitali un pensiero che condividiamo; usiamo le parole degli altri per far capire meglio chi siamo
- interattive - le parole condivise a gran voce, quasi urlate nel mare del web, vogliono (in)cantare; per non interagire, bisognerebbe tapparsi occhi e orecchie a livello mentale
Insomma, il quote funziona. E quando una cosa funziona, abusarne è molto facile.
Forse bisognerebbe imparare dalle antiche genti romane: per essere originale, bisogna osare.
Personal Branding: quotare "cum sale"
Sai cosa? Io non quoto più la citazione selvaggia: m'ha scucciat'.
Il messaggio polisenso, buttato là senza senso, alimenta la polemica: personaggi storici, di cui manco si conoscono le vite, vengono scagliati sulle bacheche come un sasso nello stagno per aumentare le cerchie. Non approvo per un semplice motivo: sarebbe come prendere un libro, aprirlo a caso, estrapolare una riga dal contesto e lanciarla nel pubblico consesso - che non ha la giusta autorità [con tutto il rispetto]. Penso a quanti autori si strapperebbero i capelli se assistessero a questo processo - mi vengono in mente quelli del povero Einstein che già erano pochetti e ancor meno n'erano rimasti dopo l'abuso in stile Pop-Art.
Mi chiedo, poi, perché l'auto-quote sia out: citare noi stessi è forse un problema? No: sarebbe un ottimo escamotage per fare personal-branding con un sacrosanto pizzico di creatività.
I miei quotes sulla pagina Copywriter Input parlano di me: ironia, variazione sul tema, pensiero. Citazione senza quartiere tra poster e Facebook Cover.
Non è facile e forse è proprio là che sta il problema: tocca pensare a qualcosa di originale; ma anche riuscire a centrare il messaggio in poche, chiare, significative parole.
Scrivere quotes partoriti dal nostro cervellino è un ottimo esercizio riassuntivo: possiamo sfruttare l'ironia, esprimere pensieri sul nostro lavoro, condividere emozioni; e, soprattutto, possiamo distinguerci e risultare originali. Non siamo nessuno, ma i nostri lettori ci devono conoscere; tante volte le citazioni possono nascere proprio con la loro partecipazione. Qualche tempo fa, sempre sulla pagina Facebook, abbiamo creato quotes sulle variazioni latine: eccoli qua.
Ciò non toglie che il quote classico possa risultare comunque vincente; sempre che sia coerente e in linea con la nostra immagine coordinata. Se sono una fashion blogger e cito Audrey Hepburn. per esempio, devo sapere che sto dando un'immagine precisa di me, del mio stile e del mio target: scrivere un post o farsi una foto con la scarpa leopardata potrebbe risultare... destabilizzante.
Teaser su temi, prodotti e personaggi: facciamoli parlare
Il disumano abuso di citazioni si limita all'essere umano. Certo, lui parla... quindi è chiaro.
Ma il mestiere di comunicatore è - prima di tutto - saper creare qualcosa di nuovo.
La mia domanda è: un oggetto si può auto-citare? E il personaggio di un romanzo? O un post che non è ancora stato scritto? Forse sì, se ci muoviamo sul web.
Mi è piaciuto molto il lavoro di Annarita Faggioni con i protagonisti del nuovo libro: una via di mezzo tra storytelling e quote in teaser. Personaggi che si auto-citano e anticipano il loro ruolo nella storia; un espediente per stimolare il lettore e accrescere la sua curiosità.
Ma se facessimo lo stesso con un prodotto/testimonial?
Qui si potrebbe spaziare tra storytelling - nel caso in cui il prodotto sia già presente sul mercato; e teaser - nel caso in cui volessimo lanciarlo in un prossimo futuro.
Insomma, cosa racconterebbe l'anziano Coccolino? E come parlerebbe il nuovo fagottino?
Che dire poi del post-blog? E della social-bio?
Nel primo caso penso a poche righe incisive che colpiscano il lettore dritto al cuore - e prima di scoprire il contenuto. Un estratto visuale in teaser che anticipa il messaggio principale.
O più di uno. Chissà.
Poi ci sono le mini-biografie di social network come Twitter, dove la citazione occupa una parte - o tutti - dei 160 caratteri a disposizione; amiamo descriverci attraverso frasi memorabili. Quest'è. E come i nostri antenati andiamo di variazioni o rettifiche dissacranti barra ironiche.
Brand Identity tra copy-ad e storytelling
La strategia del messaggio visuale non è nuova nella comunicazione pubblicitaria.
Ho già parlato del copy-ad [che a malapena si distingue dal quote].
E sono davvero tanti gli esempi di aziende che citano i loro fondatori per raccontare la loro storia e i loro prodotti: il vantaggio è far capire bene chi siamo, da dove veniamo, quali sono i nostri valori e su quali leve vogliamo puntare in futuro. Ma possiamo anche veicolare le nostre capacità e i nostri servizi con piccoli suggerimenti auto-citati: è quello che fa la Glisco Marketing di Veronica Gentili.
Io stessa sperimenterò a breve la prima soluzione: lavoro in un'azienda che ha venduto carta fino a tre anni fa; e che oggi si trova a cambiare il suo core-business per vendere un prodotto elettronico.
Il problema è ottenere la stessa credibilità; perché no, inizialmente non ce l'hai. Nello stesso tempo, però, hai un vantaggio netto sulla software-house che entra oggi nel settore: conoscere bene il tuo cliente e il modo in cui lavora. Un vantaggio da sfruttare in pieno, facendo capire che non ti sei lanciato sul mercato come uno sciacallo a seguito di una legge ministeriale: tu in quel mercato ci sei sempre stato. Sarà, quindi, il fondatore Mario a parlare attraverso le nostre pagine social; sarà lui a raccontare il valore dell'esperienza su carta e il modo in cui l'abbiamo trasferita sul prodotto digitale.
Ovviamente la comunicazione visuale è solo un tassello di un piano ben studiato e si deve sposare con l'immagine aziendale. Ricordiamoci che i quotes - come la scelta dei colori, dei font e del layout - danno un'idea precisa di noi all'esterno: che le parole siano nostre o di altri, cambiare quell'idea nel tempo sarà molto difficile. Ultimo esempio? Il chiacchierato quotes di Ceres sulla questione Napolitano; a me ha fatto tanto ridere... ma può un brand sbilanciarsi su un'idea politica? In questo caso mi pare in linea con la comunicazione aziendale; e, quindi, sì. Un plauso all'originalità auto-quotata.
Concludendo
Tu quote il quote?
Io sì, quando non è bru(t)to abusato e banale.
In pieno stile latino, il quote si confonde tra citazione autorevole e autoriale, poster pubblicitario e manifesto elettorale, immagine aziendale e stile personale.
Ma l'albero della cuccagna, prima o poi, smetterà di dare frutti: non tiranneggiamo sulla creatività.
Come dice Umberto Eco "siate avari di citazioni".
Facciamogli eco (?) noi comunicatori. E facciamolo per tutti.
Cià, cià.
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