"A me mi piace" si dice o non si dice?
Scopriamolo insieme in un percorso che va da Facebook a Carducci.
L'incubo del "Mi piace"
Se ti piace usarlo, sai bene a cosa alludo.
Facebook ha consacrato il "mi piace" come espressione regina del linguaggio.
La cosa m'è interessata poco fino a ieri, quando ho aperto la prima pagina ufficiale del blog (a proposito, te lo chiedo con l'INPS: hai già versato il tuo contributo, vero?)
Due le conseguenze immediate:
1. l'ossessione per la raccolta indifferenziata di "Mi piace", perchè tutti sono ben accolti
2. la riflessione grammaticale sul "Mi piace" e sulla liceità o meno della forma "A me mi", bollata come sgrammaticatura in tutte le scuole italiane.
La verità nascosta
Non vorrei contraddire la lunga sfilza di persone che, fin da piccola, mi hanno ripetuto "Non si dice a me mi, capito?": grazie a loro ho sviluppato una passione per la buona scrittura. Chiedo, quindi, venia se toccherà a me dire quello che i più non ammettono: l'espressione "a me mi" può suonare come una licenza stilistica.
(Un pensiero vola in cielo a mia nonna Pucci, professoressa di lettere ed inflessibile sostenitrice della grammatica pura: se l'hai sempre saputo, perchè non me l'hai detto? Ti voglio bene, angelo).
Lo stile giustifica i mezzi?
Licenza stilistica non significa scrivere "a me mi" in qualsiasi circostanza, ma in base a precise scelte di stile.
Dunque, lo stile giustifica i mezzi?
Quando è usato con criterio, sì.
"A me mi" è una forzatura grammaticale e una ripetizione inutile per la completezza della frase, ma può servire a darle più enfasi; in questo senso, ha un'utilità retorica, che si chiama pleonasmo.
Per rendere più semplice il concetto, porto l'argomento in un ambito famigliare: quello pubblicitario.
Ricordi gli spot televisivi del caffè Kimbo?
L'attore Gigi Proietti, si serve del pleonasmo "Kimbo, a me me piace" per attirare l'attenzione e la simpatia del pubblico. Il registro stilistico degli spot è ironico; da qui, la scelta del testimonial e l'uso di "a me mi" per far ridere il pubblico su una sgrammaticatura diffusa. Scelta consapevole o meno, l'uso del "mi" pleonastico mette in risalto il claim finale, tanto quanto la faccia stralunata di Proietti.
Copywriter preparato o puro caso?
Non lo so, certo a me non me la danno a bere.
Gli illustri precedenti
Sono tanti gli scrittori che hanno usato l'espressione "a me mi" per dare enfasi ai personaggi.
L'Accademia della Crusca cita una frase di Manzoni nei Promessi Sposi.La verità nascosta
Non vorrei contraddire la lunga sfilza di persone che, fin da piccola, mi hanno ripetuto "Non si dice a me mi, capito?": grazie a loro ho sviluppato una passione per la buona scrittura. Chiedo, quindi, venia se toccherà a me dire quello che i più non ammettono: l'espressione "a me mi" può suonare come una licenza stilistica.
(Un pensiero vola in cielo a mia nonna Pucci, professoressa di lettere ed inflessibile sostenitrice della grammatica pura: se l'hai sempre saputo, perchè non me l'hai detto? Ti voglio bene, angelo).
Lo stile giustifica i mezzi?
Licenza stilistica non significa scrivere "a me mi" in qualsiasi circostanza, ma in base a precise scelte di stile.
Dunque, lo stile giustifica i mezzi?
Quando è usato con criterio, sì.
"A me mi" è una forzatura grammaticale e una ripetizione inutile per la completezza della frase, ma può servire a darle più enfasi; in questo senso, ha un'utilità retorica, che si chiama pleonasmo.
Per rendere più semplice il concetto, porto l'argomento in un ambito famigliare: quello pubblicitario.
Ricordi gli spot televisivi del caffè Kimbo?
L'attore Gigi Proietti, si serve del pleonasmo "Kimbo, a me me piace" per attirare l'attenzione e la simpatia del pubblico. Il registro stilistico degli spot è ironico; da qui, la scelta del testimonial e l'uso di "a me mi" per far ridere il pubblico su una sgrammaticatura diffusa. Scelta consapevole o meno, l'uso del "mi" pleonastico mette in risalto il claim finale, tanto quanto la faccia stralunata di Proietti.
Copywriter preparato o puro caso?
Non lo so, certo a me non me la danno a bere.
Gli illustri precedenti
Sono tanti gli scrittori che hanno usato l'espressione "a me mi" per dare enfasi ai personaggi.
Nel capitolo XVI, Renzo si perde lungo la strada per Gorgonzola; incontrata una vecchia, le chiede lume sulla via giusta da seguire. "A me mi par di sì", risponde lei.
Si può davvero parlare di semplice ripetizione o di riempitivo senza senso?
Non secondo i linguisti moderni, che leggono una differenza di valore tra i due pronomi "a me" e "mi". In particolare, il primo ha più forza del secondo e contiene maggiori informazioni, volte a sottolineare l'indifferenza della vecchia nei confronti del giovane.
La cosa è ancora più evidente se si mette una virgola dopo "a me" o si sostituisce con le espressioni "quanto a me, per quanto ne so io".
"A me, mi par di sì"
"Per quanto ne so io mi par di sì".
Stessa ricerca d'enfasi si trova, tra gli altri, in alcuni personaggi di Boccaccio ("Che zanzeri tu mi mandi a me"), Verga ("A me non me ne importa nulla di quello che mi hai detto") e Carducci ("Non mi dare a me la colpa, che no'l seppi ritornar").
Un monito per gli insegnanti
Un monito per gli insegnanti
Cito Francesco Sabatini:
E così sia, con la buona pace di tutti.Prima di misurare e giudicare tutta la lingua col metro di una grammatica del discorso logico, bisogna pensare che accanto ad essa c'è anche la grammatica del discorso affettivo, una grammatica del parlato accanto a quella dello scritto. O meglio, c'è una lingua sola, ma che adempie funzioni comunicative ed espressive diverse, di tutte le quali una grammatica moderna deve render conto, guidando lo scolaro a distinguerle e ad usarle nei contesti opportuni.»
E a te, quanto te piace il "mi piace"?
Fonti:
dizionari.corriere.it
accademiadellascrusca.it
Immagini:
newitalianlandscape.it
Si, l'articolo mi è piaciuto, fermo restando che scrivere "a me mi" in un articolo o in un tema resta sempre un errore grammaticale. Una cosa è creare uno spot televisivo provocatorio, un'altra scrivere articoli divulgativi dove l'uso pleonastico di "a me mi" è, a mio parere, fuori luogo.
RispondiEliminaParimenti, Manzoni se lo poteva permettere di inserire qualche errore (voluto) nel suo romanzo. Voglio proporre qui una (provocatoria) interpretazione della frase: se Manzoni avesse voluto rendere la limitata scolarizzazione della società del XVII secolo, non avrebbe potuto scegliere metodo migliore che far proferire ad una vecchietta incontrata lungo la strada da Renzo, un'unica breve frase sgrammaticata. ;-)
Nel romanzo di Verga, è Jeli a parlare: un personaggio definito (alcune righe prima della fatidica frase) "poveraccio" e "becco" :-D non certo una persona colta.
Boccaccio scrive in italiano arcaico e non dovrebbe essere preso come "modello" per scrivere in italiano moderno; forse c'è un errore di battitura nel passo che hai citato (confronta: http://www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_2/t318.pdf): si parla di "zanzeri", non "zenzeri".
Concludo (sempre provocatoriamente) con la poesia del Carducci: chi parla è un CAVALLO! Ovvio che non sappia le regole della lingua Italiana. :-D
Aldo Gabrielli riferiva gli stessi tuoi esempi nel suo libro "Il museo degli errori" e concludeva: "Potremo forse aggiungere questo: che trattandosi di una libertà stilistica, conviene frenarla, almeno nella scuola" ... e in Internet (aggiungo io).
ciao
Una critica colta la tua, che accetto in tutto e per tutto.
RispondiEliminaSicuramente mi sono spiegata male.
In questo post intendevo dire che l'uso del "mi" pleonastico può avere un'utlità retorica in base allo stile o, come giustamente dici tu in altro modo, l'effetto che si vuole comunicare.
Nel caso di Kimbo è quello ironico/provocatorio.
Nel caso di Manzoni io propendo per la tesi che cito nel post: forse la ripetizione del pronome vuole sottolineare l'indifferenza degli abitanti verso il dramma di Renzo. Lo scontro con la città per lui che giunge ingenuo dal paesello... sarà tutto basato su questa concetto.
Per quanto riguarda Boccaccio e Carducci, vale lo stesso discorso: è ovvio che "a me mi" viene usato in entrambi i casi per sottolineare la poca cultura dei personaggi, ma proprio per questo è utile ai fini del racconto/testo.
Questo sostengo nel mio post, anche se credo di non averlo fatto comprendere molto bene.
Per quanto riguarda l'errore di battitura, ti ringrazio moltissimo per avermelo fatto notare.
Sai com'è io sono una romanticona sostenitrice della "grammatica del cuore", ma senz'altro hai ragione quando sostieni che "a me mi" è un errore che è sempre meglio evitare (a me mi pare di averlo scritto più volte nel post; o no?).
Se ho parlato di licenza stilistica è perchè lo dicono alla Crusca... non mi sarei mai permessa di allargarmi tanto.
Sono una semplice copywriter/blogger con una laurea in archeologia classica... non certo Dante Alighieri.
Detto ciò, ti ringrazio davvero per il tuo commento interessante e per le cose che mi hai fatto giustamente notare.
Sei sempre il benvenuto.
Ce ne fossero come te ... :-)
Mi permetto di aggiungere che Aldo Gabrielli (a cui mi sono ispirata per parti di questo post) è un monumento... ma mi permetto di correggere il tiro sul freno della libertà stilistica.
RispondiEliminaPerchè più che frenarla, sarebbe corretto insegnare a DOMARLA.
A scuola, su Internet e ovunque tu voglia.
Far sapere che esiste la possibilità di usare un "mi" pleonastico a seconda dello stile o del senso, ma anche insegnare che dev'essere piegata alle ragioni del testo (per cui se la può concedere solo qualcuno).
La cosa che non trovo corretta è bollare la "licenza" come sbagliata e punto. Cosa sacrosanta a livello grammaticale... ma loro che ne sanno?
Tra gli alunni potrebbe nascondersi un nuovo Manzoni!
Insomma, sostengo che si debba imparare a giocare secondo regole precise; ma che è giusto conoscere tutto il ventaglio di possibilità per potersi esprimere al meglio!
:-)
:-)
Ciao, ti aspetto in altri post quando vuoi.
Intanto mi sono aggiunta tra i sostenitori del tuo blog.
Ciao,
RispondiEliminaCondivido il tuo punto di vista: giocare secondo regole precise e conoscere per esprimersi al meglio. Sono in perfetto accordo nel momento in cui "cavalcare" venga prima di "domare" ;-) soprattutto in internet, dove molti autori si esprimono al peggio senza regole né conoscenza.
Ecco perché sono più propenso a sottolineare l'errore che permettere la licenza.
Una considerazione: che bello confrontarsi sull'uso e l'abuso della lingua italiana! :-)
Ciao
p.s. grazie per l'appoggio al blog (ricambio con piacere!).
Grazie mille Decimo... sul cavalcare sono d'accordissimo ed anche sui professorini improvvisati.
RispondiEliminaBellissimo confrontarsi e raro anche... siamo sommersi di post su App, Social, SEO, web writing (agghiacciante termine) ecc.
E la lingua che fine fa?
Bah!
Grazie mille Decimo, ti prego di segnalare sempre tutto quello che non va nei miei post; grazie a te posso migliorarli e capire gli errori.
:-)