Vuoi diventare un bravo copywriter?
NON leggere questo post.
Dalla retorica latina...
"[...] Colui che parla male di se stesso rischia di sedurre e convincere l'uditorio: non solo scuote l'interlocutore, ma si assesta quei colpi che altri avrebbero voluto dargli".
Ammettere i propri difetti. Negare di essere perfetti. Negarsi. Tutte cose che attirano simpatia, empatia, curiosità e desiderio. Questo è il senso. E, in linea di massima, è vero: amiamo seguire chi ci sfugge e desideriamo capirlo meglio.
... all'azienda
Poniamo il caso che un'azienda voglia ottenere lo stesso livello di coinvolgimento, emotivo e mentale, da parte del suo pubblico di riferimento. E poniamo il caso che questa azienda:
1. riconosca di avere più di qualche minus (negativo) rispetto alla concorrenza
2. scelga di mettere quei minus in rilievo, dando così sfoggio di autocritica e autoironia (approccio negativo)
4. riesca, attraverso questo approccio negativo, a volgere i minus in plus
5. ottenga, infine, l'effetto positivo e desiderato: coinvolgere il pubblico su più livelli diversi
L'azienda che sceglie il negative approach mette in piazza i suoi difetti - li ammette - sperando così di apparire umile, seria, onesta, interessante, perfino simpatica. Rischia il tutto per tutto e, proprio per questo, spera che il pubblico la premi, che legga il messaggio negativo in modo positivo, che ne sia incuriosito, attratto, provocato, spinto a compiere un'azione d'acquisto o di semplice informazione. Scommette sulle leve "umane" della negazione, augurandosi che il suo pubblico di riferimento risponda in modo altrettanto umano. Certo, quest'azienda coraggiosa si accolla il rischio di mettere in rilievo i propri limiti, cosa ch'è sempre un'arma a doppio taglio. C'è chi non coglie certe sottigliezze, concentrandosi solo sui difetti. Chi non apprezza affatto l'ironia, leggendoci una mancanza di serietà. E c'è chi a un "NO" risponde sempre e comunque con un "NO", trincerandosi dietro un muro. Insomma, chi decide di comunicare in negative approach deve fidarsi del proprio istinto, confidare nel proprio pubblico e - ultimo ma non ultimo - affidarsi a dei professionisti di un certo calibro.
Casi celebri: gli annunci stampa per Volkswagen e Avis
Vero campione nella tecnica del negative approach è William Bernbach, capostipite della pubblicità contemporanea. Posizionandosi tra la USP (Unique Selling Proposition) di Reeves e la UEP (Unique Emotional Proposition) di Burnett, Bernbach fa di tale approccio, uno strumento retorico vincente. Ecco due famose campagne che portano la sua firma e che, ancora oggi, sono ritenute tra le dieci migliori campagne pubblicitarie al mondo.
1. "THINK SMALL"
Il fine è quello di mettere in risalto i vantaggi del maggiolino Volkswagen rispetto alle auto - grandi e costose - preferite dagli americani. Ben consapevole dello svantaggio iniziale, Bernbach rischia il tutto per tutto e, invece di esplicitare dei pregi che difficilmente verrebbero recepiti da un pubblico abituato a ragionare sugli status symbol, decide di puntare sui difetti (approccio negativo > essere un'auto piccola ed economica) facendoli passare implicitamente come pregi (da negativo a positivo > essere piccoli e meno costosi diventa un vantaggio). Ovviamente, perché il messaggio vada a buon fine, Bernbach ha bisogno di un claim potente, che punti a cambiare il punto di vista "mentale" del pubblico nei confronti del prodotto "auto", a rovesciare del tutto la sua prospettiva. Think small. Una pagina bianca per far apparire l'auto in alto a sinistra più piccola. Una body-copy persuasiva, esaustiva, per sottolineare e spiegare meglio l'approccio negativo del claim. Ed ecco qui uno degli annunci stampa più geniali di sempre.
“La nostra automobilina non è più tanto una novità. Le due dozzine di studenti del college che cercano di strizzarcisi dentro non ci sono più. Il ragazzo del distributore non chiede più dove sia il tappo del serbatoio. Nessuno si meraviglia più della sua forma. Molti che guidano già da un po’ il nostro macinino non pensano più che 32 miglia con un gallone siano un risultato eccezionale. O che sia eccezionale usare cinque pinte d'olio invece di cinque quarti. O non avere necessità dell’antigelo. Perché quando ci si abitua a queste cose, poi, non ci si fa più tanto caso. Tranne quando riesci a strizzarti in un parcheggio minuscolo. O quando rinnovi un'assicurazione piccolina. O quando paghi il conto al meccanico, anch'esso piccolino. O quando rivendi la tua vecchia VW per prenderne una nuova. Pensaci su."
Ho sottolineato in nero i termini negativi e in viola quelli positivi. Certo come vedi, i primi sono di più (d'altronde stiamo parlando di "approccio negativo"). Ma, al di là di questo, vorrei attirare la tua attenzione sulla maestria Bernbach nell'utilizzare termini simili in modo diverso: da negativo a positivo e viceversa. Eh sì... il senso delle parole dipende sempre dal contesto in cui sono inserite. Una body-copy magistrale, questa, che pare strizzare l'occhio a una linea di pensiero condivisa dai più per poi ribaltare il punto di vista sul finale e convincere quei più che forse quella linea di pensiero non è giusta. Altro particolare è l'uso del diminutivo in forma vezzeggiativa: macinino, automobilina e quel "piccolino" che diventa ironico se abbinato al costo dell'assicurazione e del meccanico. Per non parlare del passaggio di persona da un generico "loro" a un più diretto "tu/voi". O del manzoniano "due dozzine di studenti" per sottolineare che i clienti Volkswagen, oggi, sono diventati molti di più. O dell'uso rafforzativo del "più" accanto all'avverbio negativo "non". O, viceversa, dell'uso oppositivo di parole positive quali "eccezionale" e "novità", messe bene in rilievo nei punti chiave del testo - la prima al centro, la seconda all'inizio e alla fine. O, ancora, del...
... va be' lasciamo perdere, ché le cose da dire su questo annuncio stampa sarebbero tantissime e rischierei di perdere il filo sul nostro piccolo, carissimo - non certo in senso monetario - maggiolino. Senz'altro, rispetto alle auto che rispondono allo standard americano del "più grande è lei, più figo sono io", il maggiolino rimane questo: un'auto piccola ed economica. Ma tu, caro americano che ami tanto le auto grandi e care, hai mai pensato a quanto potrebbe convenirti il piccolo? "Pensa in piccolo", cambia il tuo punto di vista, e non avrai più problemi di parcheggio né di assicurazioni costose né di consumi esorbitanti. "Pensa in piccolo" e ti assicurerai un gran vantaggio.
2. "SIAMO SOLO IL NUMERO 2 NEL NOLEGGIO AUTO"
Il fine è quello di posizionare Avis dietro al "gigante" Hertz - cosa azzardatissima, dato che, al tempo di questa campagna pubblicitaria, l'azienda è al collasso. Di nuovo, Bernbach capisce che nascondersi dietro a un dito sarebbe controproducente. Di nuovo, i minus (negativo > essere "solo secondi") sono messi in risalto per diventare dei plus (positivo > essere "secondi" è meglio, perché bisogna mettercela tutta). Per rimanere in corsa - tanto per ricorrere a un'analogia calzante - Avis deve impegnarsi a fornire dei servizi migliori. Essendo "solo seconda", non può certo permettersi di distrarsi: deve mettere più cura nelle piccole cose, il che significa massima attenzione verso il cliente. Questo è il senso dell'annuncio. Avis, cosa rara per una campagna pubblicitaria, ammette i suoi limiti in modo schietto, sincero, autoironico. Ed è proprio l'ammissione di questi limiti a fare di uno
svantaggio - NON essere leader di mercato - un vantaggio. Ma un vantaggio per chi esattamente? Per il cliente, ovvio. Con l'approccio negativo, Bernbach veicola un'immagine positiva dell'azienda e la piazza al "secondo" posto sul mercato, rendendola prima concorrente diretta del "gigante" Hertz. Per Avis questa, più che una verità conclamata, diventa una chiara dichiarazione d'intenti.
L'approccio negativo, qui, suona decisamente più aggressivo e provocatorio... non ti pare? A te cosa stimola questo video? Simpatia? Empatia? Interesse? Curiosità? Desiderio? Probabilmente la risposta dipenderà dall'età. I più giovani saranno portati a identificarsi con i festaioli e a farsi una risata. I meno giovani, invece, s'immedesimeranno nel vicino di casa che, burbero, isolato e disperato, si trova a sbattere la testa contro il muro. Probabilmente penserai che il pubblico di Ceres siano i primi; eppure, a ben guardare, il protagonista dello spot sembra essere il secondo. Guarda, facciamo così: la prossima volta che i tuoi vicini di casa daranno una festa, stappati una bottiglia di Ceres e pensa a ciò che succede...
Proporre con cura: provocazione, persone e CTA
Sei già arrivato alla terza riga?
NON fai più parte del club "C'è chi dice NO".
Voglio iniziare questo post con due situazioni dagli esiti opposti che tutti potremmo conoscere.
Situazione 1
Notte fonda senza note.
Lui, bandito incappucciato, cammina guardingo sopra un ponte illuminato.
Tu, novello Sherlock Holmes, intravvedi la sagoma dalla strada buia, ti metti a correre verso il ponte per acciuffarlo ma, sapendo di essere in netto svantaggio, finisci per urlargli a gran fiato: "Fermo là, mani in alto!" Risultato: fallimento dell'inseguimento. Non servono grandi capacità deduttive per capire che, con quell'urlo d'avvertimento lanciato per timore di non arrivare a prenderlo, hai finito per attirare l'attenzione del bandito, ottenendo l'effetto opposto a quello desiderato: la fuga dello stesso verso la salvezza. E la distanza tra lui e te è rimasta la stessa.
Notte fonda senza note.
Lui, bandito incappucciato, cammina guardingo sopra un ponte illuminato.
Tu, novello Sherlock Holmes, intravvedi la sagoma dalla strada buia, ti metti a correre verso il ponte per acciuffarlo ma, sapendo di essere in netto svantaggio, finisci per urlargli a gran fiato: "Fermo là, mani in alto!" Risultato: fallimento dell'inseguimento. Non servono grandi capacità deduttive per capire che, con quell'urlo d'avvertimento lanciato per timore di non arrivare a prenderlo, hai finito per attirare l'attenzione del bandito, ottenendo l'effetto opposto a quello desiderato: la fuga dello stesso verso la salvezza. E la distanza tra lui e te è rimasta la stessa.
Situazione 2
Lui, figlio, si rifiuta di mangiare la minestra.
Lui, figlio, si rifiuta di mangiare la minestra.
Tu, genitore spazientito, lo guardi fisso e gli dici, con tutta l'autorità che riesci a trovare: "Se vuoi morire di fame, fai pure a meno di mangiare". Risultato: vittoria sull'inappetenza. In questo caso, un dubbio sorge spontaneo: forse, più che il tono autoritario, a vincere è stata la minaccia - "Se NON vuoi mangiare fai pure. Vorrà dire che resterai a digiuno". Fatto sta che, con quella frase negativa, hai ottenuto l'effetto desiderato: la mano di tuo figlio che trattiene il piatto. Eppure la minestra è rimasta la stessa.
Conseguenze 1 e 2
Le due situazioni appena descritte ci fanno riflettere sulle loro dirette conseguenze:
1. urlare per attirare l'attenzione non serve
SPARARE CARATTERI URLATI, diciamolo, funziona di rado. Il carattere maiuscolo NON è sinonimo di carattere - per dirla con un gioco di parole di quelli che mi piacciono tanto. Certo, il maiuscolo s'impone. Ma proprio per questo, per quella volontà sfacciata d'imporsi e di attirare l'attenzione, ottiene spesso l'effetto contrario: il pubblico si sente braccato, costretto ad agire, e finisce per sfuggirci tra le righe come un bandito sul ponte illuminato. D'altronde, a chi piacerebbe sentirsi urlare contro ciò che dovrebbe o non dovrebbe fare? La teoria ovidiana: "In amor vince chi fugge" vale anche per la scrittura pubblicitaria. E tu non sei certo quello che segue.
SPARARE CARATTERI URLATI, diciamolo, funziona di rado. Il carattere maiuscolo NON è sinonimo di carattere - per dirla con un gioco di parole di quelli che mi piacciono tanto. Certo, il maiuscolo s'impone. Ma proprio per questo, per quella volontà sfacciata d'imporsi e di attirare l'attenzione, ottiene spesso l'effetto contrario: il pubblico si sente braccato, costretto ad agire, e finisce per sfuggirci tra le righe come un bandito sul ponte illuminato. D'altronde, a chi piacerebbe sentirsi urlare contro ciò che dovrebbe o non dovrebbe fare? La teoria ovidiana: "In amor vince chi fugge" vale anche per la scrittura pubblicitaria. E tu non sei certo quello che segue.
2. Evitare la negazione a tutti i costi potrebbe costare
La negazione è negativa, inutile negarlo - per dirla con una ripetizione di quelle che mi piacciono tanto. C'è da notare, però, che un approccio negativo, se usato con metodo, permette di attirare l'attenzione del pubblico - perfino di "provocare" una sua reazione - senza doversi imporre in modo aggressivo. Più una cosa ci è negata, più vogliamo averla; più ci è vietata, più siamo spinti a farla; più ci è nascosta, più desideriamo scoprirla. Si sa. Meccanismo, questo della negazione e del divieto, che fa "leva" su istinti quali curiosità e desiderio. E cosa c'è di più efficace di curiosità e desiderio per spingere qualcuno a conoscere qualcosa o anche - perché no - ad acquistarla? Poco o niente. Questo il serpente di Adamo ed Eva lo sapeva bene. Che poi, si sa la mela è il simbolo della conoscenza - e se in questa storia la curiosità, più che il gatto, alla fine, uccise l'essere umano poco importa. Certo non è detto che negare o vietare qualcosa, stimoli per forza il desiderio. "Quando la volpe non arriva all'uva, dice che è acerba" scriveva Esopo. [Per inciso sì, lo so, questo post sta diventano uno zoo]. Ma, qualsivoglia cosa affermi la volpe, non dobbiamo mai dimenticare che lei, quell'uva, la vorrebbe eccome. Compito del copywriter, dunque, è quello di sventolarle sotto il naso un frutto proibito, di provocare in lei una reazione, di spingerla a compiere un'azione - che sia afferrare l'uva per mangiarla o una mela per farci una torta (?) poco cambia. Questa è l'unica cosa che, in quanto copywriter, ti deve interessare. E, cosa ancor più interessante, è che puoi riuscire a ingannare la volpe o a ottenere l'effetto del serpente - concedimi queste ardite analogie animaliste - attraverso un uso intelligente dell'approccio negativo. Per il momento tieni a mente ciò che abbiamo detto fino a qua: curiosità e desiderio sono due delle "leve" sui cui fanno affidamento negazione e divieto.
La negazione è negativa, inutile negarlo - per dirla con una ripetizione di quelle che mi piacciono tanto. C'è da notare, però, che un approccio negativo, se usato con metodo, permette di attirare l'attenzione del pubblico - perfino di "provocare" una sua reazione - senza doversi imporre in modo aggressivo. Più una cosa ci è negata, più vogliamo averla; più ci è vietata, più siamo spinti a farla; più ci è nascosta, più desideriamo scoprirla. Si sa. Meccanismo, questo della negazione e del divieto, che fa "leva" su istinti quali curiosità e desiderio. E cosa c'è di più efficace di curiosità e desiderio per spingere qualcuno a conoscere qualcosa o anche - perché no - ad acquistarla? Poco o niente. Questo il serpente di Adamo ed Eva lo sapeva bene. Che poi, si sa la mela è il simbolo della conoscenza - e se in questa storia la curiosità, più che il gatto, alla fine, uccise l'essere umano poco importa. Certo non è detto che negare o vietare qualcosa, stimoli per forza il desiderio. "Quando la volpe non arriva all'uva, dice che è acerba" scriveva Esopo. [Per inciso sì, lo so, questo post sta diventano uno zoo]. Ma, qualsivoglia cosa affermi la volpe, non dobbiamo mai dimenticare che lei, quell'uva, la vorrebbe eccome. Compito del copywriter, dunque, è quello di sventolarle sotto il naso un frutto proibito, di provocare in lei una reazione, di spingerla a compiere un'azione - che sia afferrare l'uva per mangiarla o una mela per farci una torta (?) poco cambia. Questa è l'unica cosa che, in quanto copywriter, ti deve interessare. E, cosa ancor più interessante, è che puoi riuscire a ingannare la volpe o a ottenere l'effetto del serpente - concedimi queste ardite analogie animaliste - attraverso un uso intelligente dell'approccio negativo. Per il momento tieni a mente ciò che abbiamo detto fino a qua: curiosità e desiderio sono due delle "leve" sui cui fanno affidamento negazione e divieto.
Approccio negativo: andiamo più a fondo
Intendiamoci. Sentirai dire spesso che le parole negative sono da evitare come la peste: mai metterle in un titolo, in uno slogan o nella tag-line di un sito. Reazioni immediate da parte del pubblico sarebbero la fuga o, come minimo, un netto rifiuto. Vox populi vox dei. Lungi da me contraddire professionisti del calibro di Annamaria Testa, che afferma di non usare volentieri l'approccio negativo perché "il più delle volte risulta essere antipatico". E se lo dice una maestra del copywriting come lei, che di certo conosce questa tecnica ben più di me, c'è di che fidarsi. Diamo, quindi, per assodato che ricorrere al negative approach - così si dice in inglese - significa accollarsi un gran bel rischio sul piano strategico e comunicativo. Ma cos'è, di preciso, questo approccio negativo? Chi l'ha inventato? E come possiamo utilizzarlo?
Dalla retorica latina...
Stupisce poco scoprire che l'approccio negativo ha, alle sue spalle, una lunga storia che trova la sua origine nella retorica latina - perché l'avo latino, si sa, ci mette sempre il suo zampino. Nel primo secolo dopo cristo, l'oratore Quintiliano scriveva:
"Esiste un luogo retorico d'affettazione di modestia" perché "il pubblico ha un moto di simpatia per chiunque si trovi in difficoltà".
Come negare tale affermazione? Hai mai notato quanto siamo portati a empatizzare con le persone in difficoltà? E quanto siano astuti quelli che, per evitare lo scontro frontale, imparano ad anticipare le critiche degli altri, rivolgendole loro, per primi, contro se stessi? E dei falsi modesti, invece, che ne pensi? Se ho usato gli aggettivi "astuti" e "falsi", non è certo un caso. Perché il più delle volte, in un caso e nell'altro, si tratta di espedienti comunicativi tesi ad attirare maggiori consensi. Eppure, la maggior parte delle volte, non possiamo evitare di provare un moto di simpatia istintiva - per non dire di empatia - verso questi antieroi costruiti a tavolino con cui ci identifichiamo facilmente. Ovvio, il "piangersi addosso" non deve mai scadere nel lamento continuo o nell'insensato vittimismo. Tuttavia, è indubbio che, oltre ai già citati curiosità e desiderio, ci siano altre "leve" capaci di sedurci, trascinarci, convincerci, provocarci una reazione, spingerci all'azione: autocritica e autoironia come sinonimo di modestia, umiltà, onestà e serietà sono indubbiamente fra queste. Per dirla con Meyer:
"Esiste un luogo retorico d'affettazione di modestia" perché "il pubblico ha un moto di simpatia per chiunque si trovi in difficoltà".
Come negare tale affermazione? Hai mai notato quanto siamo portati a empatizzare con le persone in difficoltà? E quanto siano astuti quelli che, per evitare lo scontro frontale, imparano ad anticipare le critiche degli altri, rivolgendole loro, per primi, contro se stessi? E dei falsi modesti, invece, che ne pensi? Se ho usato gli aggettivi "astuti" e "falsi", non è certo un caso. Perché il più delle volte, in un caso e nell'altro, si tratta di espedienti comunicativi tesi ad attirare maggiori consensi. Eppure, la maggior parte delle volte, non possiamo evitare di provare un moto di simpatia istintiva - per non dire di empatia - verso questi antieroi costruiti a tavolino con cui ci identifichiamo facilmente. Ovvio, il "piangersi addosso" non deve mai scadere nel lamento continuo o nell'insensato vittimismo. Tuttavia, è indubbio che, oltre ai già citati curiosità e desiderio, ci siano altre "leve" capaci di sedurci, trascinarci, convincerci, provocarci una reazione, spingerci all'azione: autocritica e autoironia come sinonimo di modestia, umiltà, onestà e serietà sono indubbiamente fra queste. Per dirla con Meyer:
"[...] Colui che parla male di se stesso rischia di sedurre e convincere l'uditorio: non solo scuote l'interlocutore, ma si assesta quei colpi che altri avrebbero voluto dargli".
Ammettere i propri difetti. Negare di essere perfetti. Negarsi. Tutte cose che attirano simpatia, empatia, curiosità e desiderio. Questo è il senso. E, in linea di massima, è vero: amiamo seguire chi ci sfugge e desideriamo capirlo meglio.
... all'azienda
Poniamo il caso che un'azienda voglia ottenere lo stesso livello di coinvolgimento, emotivo e mentale, da parte del suo pubblico di riferimento. E poniamo il caso che questa azienda:
1. riconosca di avere più di qualche minus (negativo) rispetto alla concorrenza
2. scelga di mettere quei minus in rilievo, dando così sfoggio di autocritica e autoironia (approccio negativo)
4. riesca, attraverso questo approccio negativo, a volgere i minus in plus
5. ottenga, infine, l'effetto positivo e desiderato: coinvolgere il pubblico su più livelli diversi
L'azienda che sceglie il negative approach mette in piazza i suoi difetti - li ammette - sperando così di apparire umile, seria, onesta, interessante, perfino simpatica. Rischia il tutto per tutto e, proprio per questo, spera che il pubblico la premi, che legga il messaggio negativo in modo positivo, che ne sia incuriosito, attratto, provocato, spinto a compiere un'azione d'acquisto o di semplice informazione. Scommette sulle leve "umane" della negazione, augurandosi che il suo pubblico di riferimento risponda in modo altrettanto umano. Certo, quest'azienda coraggiosa si accolla il rischio di mettere in rilievo i propri limiti, cosa ch'è sempre un'arma a doppio taglio. C'è chi non coglie certe sottigliezze, concentrandosi solo sui difetti. Chi non apprezza affatto l'ironia, leggendoci una mancanza di serietà. E c'è chi a un "NO" risponde sempre e comunque con un "NO", trincerandosi dietro un muro. Insomma, chi decide di comunicare in negative approach deve fidarsi del proprio istinto, confidare nel proprio pubblico e - ultimo ma non ultimo - affidarsi a dei professionisti di un certo calibro.
Casi celebri: gli annunci stampa per Volkswagen e Avis
Vero campione nella tecnica del negative approach è William Bernbach, capostipite della pubblicità contemporanea. Posizionandosi tra la USP (Unique Selling Proposition) di Reeves e la UEP (Unique Emotional Proposition) di Burnett, Bernbach fa di tale approccio, uno strumento retorico vincente. Ecco due famose campagne che portano la sua firma e che, ancora oggi, sono ritenute tra le dieci migliori campagne pubblicitarie al mondo.
1. "THINK SMALL"
Il fine è quello di mettere in risalto i vantaggi del maggiolino Volkswagen rispetto alle auto - grandi e costose - preferite dagli americani. Ben consapevole dello svantaggio iniziale, Bernbach rischia il tutto per tutto e, invece di esplicitare dei pregi che difficilmente verrebbero recepiti da un pubblico abituato a ragionare sugli status symbol, decide di puntare sui difetti (approccio negativo > essere un'auto piccola ed economica) facendoli passare implicitamente come pregi (da negativo a positivo > essere piccoli e meno costosi diventa un vantaggio). Ovviamente, perché il messaggio vada a buon fine, Bernbach ha bisogno di un claim potente, che punti a cambiare il punto di vista "mentale" del pubblico nei confronti del prodotto "auto", a rovesciare del tutto la sua prospettiva. Think small. Una pagina bianca per far apparire l'auto in alto a sinistra più piccola. Una body-copy persuasiva, esaustiva, per sottolineare e spiegare meglio l'approccio negativo del claim. Ed ecco qui uno degli annunci stampa più geniali di sempre.
“La nostra automobilina non è più tanto una novità. Le due dozzine di studenti del college che cercano di strizzarcisi dentro non ci sono più. Il ragazzo del distributore non chiede più dove sia il tappo del serbatoio. Nessuno si meraviglia più della sua forma. Molti che guidano già da un po’ il nostro macinino non pensano più che 32 miglia con un gallone siano un risultato eccezionale. O che sia eccezionale usare cinque pinte d'olio invece di cinque quarti. O non avere necessità dell’antigelo. Perché quando ci si abitua a queste cose, poi, non ci si fa più tanto caso. Tranne quando riesci a strizzarti in un parcheggio minuscolo. O quando rinnovi un'assicurazione piccolina. O quando paghi il conto al meccanico, anch'esso piccolino. O quando rivendi la tua vecchia VW per prenderne una nuova. Pensaci su."
Ho sottolineato in nero i termini negativi e in viola quelli positivi. Certo come vedi, i primi sono di più (d'altronde stiamo parlando di "approccio negativo"). Ma, al di là di questo, vorrei attirare la tua attenzione sulla maestria Bernbach nell'utilizzare termini simili in modo diverso: da negativo a positivo e viceversa. Eh sì... il senso delle parole dipende sempre dal contesto in cui sono inserite. Una body-copy magistrale, questa, che pare strizzare l'occhio a una linea di pensiero condivisa dai più per poi ribaltare il punto di vista sul finale e convincere quei più che forse quella linea di pensiero non è giusta. Altro particolare è l'uso del diminutivo in forma vezzeggiativa: macinino, automobilina e quel "piccolino" che diventa ironico se abbinato al costo dell'assicurazione e del meccanico. Per non parlare del passaggio di persona da un generico "loro" a un più diretto "tu/voi". O del manzoniano "due dozzine di studenti" per sottolineare che i clienti Volkswagen, oggi, sono diventati molti di più. O dell'uso rafforzativo del "più" accanto all'avverbio negativo "non". O, viceversa, dell'uso oppositivo di parole positive quali "eccezionale" e "novità", messe bene in rilievo nei punti chiave del testo - la prima al centro, la seconda all'inizio e alla fine. O, ancora, del...
... va be' lasciamo perdere, ché le cose da dire su questo annuncio stampa sarebbero tantissime e rischierei di perdere il filo sul nostro piccolo, carissimo - non certo in senso monetario - maggiolino. Senz'altro, rispetto alle auto che rispondono allo standard americano del "più grande è lei, più figo sono io", il maggiolino rimane questo: un'auto piccola ed economica. Ma tu, caro americano che ami tanto le auto grandi e care, hai mai pensato a quanto potrebbe convenirti il piccolo? "Pensa in piccolo", cambia il tuo punto di vista, e non avrai più problemi di parcheggio né di assicurazioni costose né di consumi esorbitanti. "Pensa in piccolo" e ti assicurerai un gran vantaggio.
Il fine è quello di posizionare Avis dietro al "gigante" Hertz - cosa azzardatissima, dato che, al tempo di questa campagna pubblicitaria, l'azienda è al collasso. Di nuovo, Bernbach capisce che nascondersi dietro a un dito sarebbe controproducente. Di nuovo, i minus (negativo > essere "solo secondi") sono messi in risalto per diventare dei plus (positivo > essere "secondi" è meglio, perché bisogna mettercela tutta). Per rimanere in corsa - tanto per ricorrere a un'analogia calzante - Avis deve impegnarsi a fornire dei servizi migliori. Essendo "solo seconda", non può certo permettersi di distrarsi: deve mettere più cura nelle piccole cose, il che significa massima attenzione verso il cliente. Questo è il senso dell'annuncio. Avis, cosa rara per una campagna pubblicitaria, ammette i suoi limiti in modo schietto, sincero, autoironico. Ed è proprio l'ammissione di questi limiti a fare di uno
svantaggio - NON essere leader di mercato - un vantaggio. Ma un vantaggio per chi esattamente? Per il cliente, ovvio. Con l'approccio negativo, Bernbach veicola un'immagine positiva dell'azienda e la piazza al "secondo" posto sul mercato, rendendola prima concorrente diretta del "gigante" Hertz. Per Avis questa, più che una verità conclamata, diventa una chiara dichiarazione d'intenti.
"Siamo solo il numero 2 nel noleggio auto. Quindi perché venire con noi?" Di nuovo, è compito della body-copy spiegare il claim incentrato sull'approccio negativo. Basta scorrere fra le righe del testo per notare la presenza del "can't": il verbo "potere" in forma negativa è talmente potente da comparire come claim in annunci stampa successivi:
Casi recenti: lo spot di Ceres
Casi recenti: lo spot di Ceres
L'approccio negativo, non mi stancherò mai di dirlo, è una tecnica rischiosa che richiede metodo, esperienza e che, a seconda del "tono di voce", può risultare più o meno aggressiva. Indubbiamente gli annunci di Bernbach hanno un equilibrio perfetto: il tono è tanto deciso, quanto pacato; tanto umile, quanto schietto; tanto serio, quanto ironico. Adesso, però, ti chiedo di dare un'occhiata a questo spot di Ceres per capire bene le differenze:
Proporre con cura: provocazione, persone e CTA
Ormai avrai capito che con l'espressione negative approach non ci si riferisce solo a un contenuto con una negazione al suo interno ma anche, come sta a significare l'espressione letterale, a una tecnica di comunicazione strategica tesa a mettere in risalto i minus (gli svantaggi, i punti di debolezza) di un brand, di un servizio e/o di un prodotto per coinvolgere il pubblico su più livelli. Per finire, aggiungo che l'approccio negativo funziona bene anche per condividere un contenuto. Tutti possiamo farne uso. Sui social network, in particolare su Twitter e su Facebook, capita spesso di leggere Call To Action (Chiamata all'Azione) dove il negative approach la fa da padrone. L'intento è lo stesso: spingere qualcuno a fare qualcosa come, ad esempio, cliccare su un link, condividere un post, commentarlo o rispondere al commento. Ricordi quali erano le prime due leve di negazione e divieto? Esatto. Curiosità e desiderio. Tutta roba di serpenti, volpi e gatti da due soldi - che alla fiera dell'est mio padre comprò (okay, sto sclerando). Chi scrive spera che il divieto spinga chi legge a fare l'esatto contrario. Lo stesso meccanismo comunicativo per cui capita di rispondere in modo affermativo a una domanda negativa tipo quella che ti ho appena fatto sotto il video di Ceres - e attenzione che risposta negativa a domanda negativa = doppia negazione e doppia negazione = affermazione. Sì, lo so, la lingua è un bel po' bastarda, rassegnamoci. Lo stesso meccanismo per cui: "Se vuoi essere triste, NON mangiare la Nutella" e tu passi il pomeriggio a intingerci il dito. "Se vuoi essere essere libero, NON devi uscire" e tu scappi dalla finestra (sì, l'ho fatto). "Se vuoi morire di fame, NON mangiare la minestra" e tu finisci per scavare il fondo del piatto col cucchiaio.
Concludendo
Inutile negarlo: le cose proibite attraggono, affascinano, stimolano il desiderio, spingono a porsi delle domande sul perché siano proibite e a valutare se valga o meno la pena cercare le risposte. Per gli antichi greci tra i peccati più gravi c'erano la tracotanza e la superbia. Ulisse pagò con l'Odissea l'errore di sentirsi più saggio - e più furbo - degli dei. Io preferisco pensare che siamo animali evoluti con alcuni rimasugli d'istinti biblici, primordiali. Esseri umani che primeggiano, pur essendo rimasti sempre un po' primati. Ad esempio, poniamo il caso che io inizi un post così:
Vuoi diventare un bravo copywriter?
Allora NON leggere questo post.
Sei già arrivato alla terza riga?
Allora NON fai più parte del club "C'è chi dice no"
Tu cosa faresti?
Lo leggeresti fino in fondo o preferiresti rimanere con la curiosità di sapere cosa ci ho scritto? :-)*
Concludendo
Inutile negarlo: le cose proibite attraggono, affascinano, stimolano il desiderio, spingono a porsi delle domande sul perché siano proibite e a valutare se valga o meno la pena cercare le risposte. Per gli antichi greci tra i peccati più gravi c'erano la tracotanza e la superbia. Ulisse pagò con l'Odissea l'errore di sentirsi più saggio - e più furbo - degli dei. Io preferisco pensare che siamo animali evoluti con alcuni rimasugli d'istinti biblici, primordiali. Esseri umani che primeggiano, pur essendo rimasti sempre un po' primati. Ad esempio, poniamo il caso che io inizi un post così:
Allora NON leggere questo post.
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Allora NON fai più parte del club "C'è chi dice no"
Tu cosa faresti?
Lo leggeresti fino in fondo o preferiresti rimanere con la curiosità di sapere cosa ci ho scritto? :-)*
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